Associazione Marinara “Aldebaran” Trieste

L’ANCORA

ORIGINE ED EVOLUZIONE ETNOLOGIA – SIMBOLOGIA

 

 

 

 

 

 

Quaderno AMA 71/96 Compilatore: Aldo Cherini

(riveduto ed ampliato – dicembre 2004)

 

Album con i 444 disegni di ancore

 

 

Il problema dell’immobilizzo dell’imbarcazione -la quale galleggia e si muove su di un fluido che non presenta attrito o resistenza utilizzabile a tale scopo- è stato risolto nell’alta antichità in maniera molto semplice, legando cioè l’imbarcazione ad un sasso quand’essa si trovava sufficientemente vicino alla costa, oppure portandosi dietro il sasso che, legato ad una corda e gettato nel momento del bisogno sul fondale, assicurava un punto sufficientemente fermo grazie all’attrito determinato dal proprio peso secondo il principio dell’ancora a gravità.

Le più antiche testimonianze si trovano in Egitto e risalgono agli anni 2800 a.C. in certe pitturazioni tombali e agli anni 2000 a C. secondo reperti litici votivi trovati nei templi della XIIª dinastia faraonica. È sempre esistito un particolare rapporto tra il marinaio e la divinità grazie al quale le offerte votive e gli ex-voto vengono rappresentare una preziosa documentazione anche per l’archeologia dell’ancora, essendo numerosi gli esemplari trovati nei templi di Traxien e Hagarat a Malta (età del ferro); interessante l’ancora votiva di provenienza cipriota del tempio di Ptah a Karnak (cinta di Ammon) nell’ Egitto del Nuovo Impero.

A cominciare dall’Odissea di Omero, la letteratura greca e romana fa spesso cenno alle pietre di fondo, a lungo impiegate e trovate numerose, ascrivibili fino al primo millennio d.D., usate anche dai Vichinghi e, in etnografia, da molte popolazioni fino ai giorni nostri.

 

Figura 1-Cipro. Ancora litica a gravità di epoca enea

 

 Pratica equivalente e di maggior maneggiabilità è stato l’uso dei cesti pieni di sassi o di sabbia, come testimoniato da Eschilo. Ma l’affidabilità di simili mezzi, com’è facile intuire, era assai scarsa per cui il navigante si industriò presto di conferire al sasso una forma appropriata con l’aggiunta di elementi, per lo più di legno, capaci di esercitare una certa presa sul fondale in aggiunta all’effetto gravità. È inutile cercare appigli cronologici in questa evoluzione verificatasi un po’ dovunque. J.B.Bury (Storia dei Greci) afferma, contestabilmente, che al tempo di Esiodo, circa nel 700 a.C., “fu fatto un importante progresso nel mestiere marinaro con l’introduzione dell’ancora”. Ma l’autorità di Omero, vissuto intorno all’850 a.C., non concorda infatti con tale indicazione, ma forse Esiodo si riferisce all’aggiunta di un elemento con effetto presa all’ancora a gravità. In tutti questi casi il peso variava da 50 a 100 kg toccando i 5- 600 kg solo eccezionalmente (Jacques Gay, 1984).

 

Figura 2-Ricostruzione ipotetica di ancora litica a gravità

 

È con lo sviluppo e la diffusione dell’archeologia subacquea che il quadro si fa più chiaro. L’ancora veniva perduta facilmente e un gran numero di esemplari giace ora sui fondali marini lungo le rotte dell’antichità.

Del primo millennio è l’ancora a forma di piramide appiattita appartenente alla colonia fenicia di Motya in Sicilia e non pochi sono gli esemplari trovati nei palazzi di Cnosso e di Mallia nell’isola di Creta, via via fino alle ancore di Capo Miseno, di Pozzuoli, delle navi di Nemi per quanto riguarda l’area mediterranea, nonché delle navi vichinghe per l’area dell’Europa Settentrionale.

La sostituzione del sasso omerico (eunè) con l’ancora capace di mordere il fondale dev’essere considerata frutto di un’evoluzione assai lenta e graduale. Eschilo testimonia che, al suo tempo, i naviganti non nutrivano molta fiducia nello “star sull’ancora” (en ankyruxiais).

Il legno, materia facilmente lavorabile anche se deperibile, diventava primo elemento costitutivo dell’ancora, legno che necessitava di essere appesantito con sbarre di pietra o di piombo. Secondo l’interpretazione di F.Moll (il primo a seguire studi approfonditi sulle ancore antiche eliminando le tortuose interpretazioni di altri studiosi condotte su testi di Ateneo e di Diadoro) sono stati inizialmente i Greci a colare il piombo a forma di T. Nella nave di Mahdia, risalente al primo secolo a.C., la traversa misurava più di 2 metri e mezzo con peso di 700 kg. Le estremità dei bracci ancora lignei apparivano ricoperte da punte metalliche (bronzo o ferro) per evitarne la rapida usura o danni. Il modello primitivo sembra sia stato formato da un fusto con un solo braccio, come nell’ancoressa (eteròstomos o monòbolos).

 

Figura 3-Sardegna. Ceppi di piombo con scritta greca (invocazione alla fortuna)

 

In seguito, si applicarono al fusto due bracci simmetrici (dìstomos o amfìbolos) terminanti con patte triangolari consententi una presa più sicura. All’estremità superiore del fusto veniva sistemato un anello di corda o di metallo per la fune di ritenuta; un altro anello, nella parte opposta, sotto il diamante, serviva per facilitare la manovra di ricupero (grippiale). Ma solo i reperti del Lago di Nemi, venuti alla luce nel corso di una delle più grandi opere di archeologia navale, hanno chiarito definitivamente, o quasi, la morfologia dell’ancora antica mediterranea. Non esiste accordo tra gli antichi autori in merito all’inventore dell’ancora di ferro. Plinio indica il greco Eupalamo; Pausania ritiene che sia Midia, re della Frigia. L’aggiunta del secondo braccio sarebbe stato un perfezionamento introdotto dal filosofo scita Anacarsi, e su questo punto sono d’accordo Strabone e Plinio: eadem (ancoram)bidentem (additit) Anacharsis.

Ancore metalliche sono conosciute certamente agli inizi del 7 secolo a.C. secondo quanto indicato da F.Bury grazie ad un reperto da lui studiato. Altri ritengono che l’ancora metallica sia stata introdotta in Europa dagli Sciti secondo la testimonianza dello stesso Anacarsi tratta da un viaggio da lui effettuato nel 594 a.C., per passare ai Greci al tempo di Solone. Strabone ritiene, invece, che Anacarsi si riferiva all’applicazione della seconda marra. Pausania dà credito all’informazione che la prima marra di ferro si debba a Mida, mentre Plinio cita gli Etruschi. Plinio ascrive l’addizione della seconda marra a Eupalamo di Sicione, considerato che i Greci della città di Sicione erano noti per la lavorazione del bronzo, per il loro porto e per le navi da essi armate con grande sviluppo del commercio marittimo.

La teoria secondo la quale furono i Greci ad introdurre l’uso dell’ancora fin dalla prima antichità si basa sul fatto che il termine ancora deriva dalla parola greca ancyra attestata in Pindaro nel 522 a.C.

Un’ancora romana di ferro è stata trovata nel 1852 sul lido di Pompei: ha il peso di 417 kg (1275 libre) con un rapporto pari a 1:2,5 rispetto all’ancora di Nemi. Altri reperti sono le due ancore, corrose e mutilate, del Museo Archeologico di Cagliari, che presentano caratteristiche similari; l’ancora di Apollonia; quella di Bengasi; e due frammenti del Museo di Siracusa. Tutto ciò al tempo di U. Nebbia, che ne riferisce nella sua pubblicazione sulle navi di Nemi (1940) per cui si deve intendere che l’elenco va non poco allungato con i reperti successivi come, ad esempio, l’ancora ripescata nel 1977 a 70 metri di profondità nella cala del Diavolo dell’isola di Montecristo e quella  trovata nel 1987 nel Tevere all’altezza dell’Istituto San Michele a Ripa, in buon stato, lunga 3,10 m. e del peso di 200 kg, databile intorno al 285 a.C.

Fig.4 - Ricostruzione di ancora romana lignea del Lago di Nemi. Lunga m. 5,5

Fig. 5 - Ancora romana di ferro, con ceppo mobile, trovata nel 1857 sull’antico lido di Pompei

Fig. 6 – Cesarea, grande ancora ritenuta romana, ma probabilmente di galea

 

 

 

Nel 1930 era stata trovata nel lago di Nemi la seconda e più grande ancora, di legno di quercia con bracci a V, unghie di ferro, ceppo di piombo e resti di cavo d’ormeggio di 10 cm di diametro. I bracci a V coesistevano con i bracci ad arco di cerchio (come nell’ancora di ferro anch’essa di Nemi, foderata di legno), che finiranno per prevalere ma molto tempo dopo. L’ancora del relitto di Dramond “D”, risalente alla fine del I sec. d.C., presenta già i bracci più aperti e il relitto Dramond “F” compare con i bracci a linea rettilinea angolata. Queste ancore venivano foggiate a martellamento e pertanto presentavano una struttura esile in quanto l’azione del martellamento agiva solo sugli strati superficiali della struttura metallica. Ciò avveniva fino al sec. XV. e, in taluni casi, anche oltre. Nei secoli IX e X i Vichinghi fabbricavano ancore metalliche simili a quella romana di Nemi, con bracci ad arco di cerchio, ma con l’innovazione delle patte alle estremità anche se poco sviluppate.

L’ancora entrava nella simbologia corrente fin dalla prima antichità condividendo con gli oggetti del viver quotidiano il concetto di rappresentatività o di sacralità che assicuravano scaramanzia e protezione rispetto ai fatti ed eventi pericolosi ed eversivi.

Dell’ancora come ex-voto si è già fatto cenno.

Molto estesa la simbologia greca e romana con rappresentazioni di vario tipo: monete, sigilli, anelli, medaglie, graffiti, tessere, insegne che servono a fissare con particolareggiata evidenza la tipologia, molto più accuratamente di quanto avvenga attualmente. È grazie a ciò che si dispone oggi, assieme ai reperti archeologici in scala reale, di informazioni pressoché complete contrariamente a quanto avviene in sede tecnica riguardo la nave coeva, per la quale sussistono estese parti totalmente incognite. Dalla tomba del faraone egizio Shru-Re della Va dinastia (2563-2423 a.C.) fino alle catacombe romane si dispone di materiale documentario assai ricco, determinabile cronologicamente.

Divenuta simbolo della speranza, la figura dell’ancora si diffondeva, in tutta Europa, frequentemente incisa sulle tombe protocristiane al posto del segno della croce, soggetto a persecuzione, come speranza di resurrezione. In epoca medioevale figurava come stemma militare e come marca di casata. In Inghilterra appariva comunemente nei segnali e negli avvisi marittimi, su insegne, bandiere e fregi vari. In araldica significava verità, fedeltà, prudenza, costanza, speranza. È inutile dire che l’ancora è costantemente presente nei fregi di grado e di specialità delle divise militari di tutte le marine.

Fig.7 - Ancora di ferro dell’alto medioevo

Fig. 8 - Ancora di ferro della fine del primo millennio

Fig. 9 - Spagna, antiche ancore del monumento agli antichi navigatori nella Baia di Vigo

Fig. 10 - Ancora di galeone (sec. XVII)

 

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Ma tutti i perfezionamenti di cui si è fatto cenno non davano ancora sufficienti garanzie (che, in via assoluta, non esistono neanche oggi). Le navi erano munite, perciò, di un buon numero di ancore sia a prua che a poppa: la famosa mitica Alexandreia di Gerone di Siracusa, come testimoniato da Ateneo, ne imbarcava quattro di legno e otto di ferro. Ciò era determinato anche dal fatto della facilità con le quale le ancore potevano perdersi o lesionarsi venendo meno alla loro funzione.

Determinante per la funzionalità è il ceppo, opposto ai bracci e ruotato di 90 al fine di impedire il coricamento dei bracci stessi sul fondale. È curioso notare che, in Occidente, il ceppo veniva inserito sotto la cicala mentre in Estremo Oriente poco sopra i bracci. Ma l’ancora con ceppo occupava molto spazio a bordo e richiedeva manovre poco spedite proprio quando sarebbe stato necessario il contrario. Bisognava trovare un rimedio ed è interessante notare che già i Romani, o meglio gli Ellenici e gli Egizi, che armavano il nerbo della flotta, introdussero la pratica del ceppo mobile, ripiegabile, come testimoniato dai reperti del lago di Nemi (12 d.C.). Anche un esemplare di ferro, trovato a Cervia e risalente al IV sec. d.C. reca sotto la cicala la sede per il ceppo mobile, andato perduto.

Tutto ciò non era casuale ma frutto di osservazioni pratiche e di esperienza, che ad un certo momento non erano più sufficienti. Primo ad occuparsene in sede teorica intorno alla metà del 1600, è stato il padre Fournier, che ha teorizzato essere la forma dell’ancora più importante del peso, indicato comunque in 110 libre ogni 20 tonnellate di nave. Lefevre de Chessenag fissava le proporzioni intercorrenti tra le varie parti costituenti l’insieme. Il primo studio teorico fisico-matematico compariva in Francia nel 1723 e le condizioni di resistenza venivano determinate inizialmente, sempre in Francia, nel 1810 sulla base di una pubblicazione del 1801 di Richard Pering. Nello stesso 1810 compariva in Inghilterra il Chain, Cables and Anchors Act che rendeva obbligatori i controlli ed i collaudi a carico dei fabbricanti. Hanibal, Perter e Trotman studiavano l’ancora con braccia a movimento laterale (1840). Secondo l’“Enciclopedia Britannica” il braccio mobile era adottato in Inghilterra già nel 1813 attribuendo l’innovazione al segretario del cantiere di Plymouth, Pering. Il primo brevetto, Hawkins, sarebbe del 1821.

Gli studi si moltiplicano e un trattato completo di tecnica e pratica veniva pubblicato, in Francia, nel 1823 a cura di René Reaumur.  

Il ceppo mobile rappresentava una soluzione sufficientemente soddisfacente nel tipo detto ammiragliato inglese secondo un modello messo a punto tra il 1846 ed il 1852 dai capitani Rodger e Aylen, che ha incontrato tanta fortuna da perdurare, sia pur per impieghi particolari, fino ai giorni nostri, talvolta riveduto nel disegno.

 

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Il passo decisivo verso l’ancora moderna si compiva con l’eliminazione del ceppo. Il primo brevetto Hawkins (stockless) compariva nel 1821, ulteriori passi venivano compiuti da Lowe nel 1822-23. La mobilità delle braccia sul piano trasversale interessava Since Baxler nel 1855 ma la soluzione veramente soddisfacente è appena del 1910 col brevetto Hall dal quale deriva un gran numero di tipi ispirati al suo principio, i più noti e diffusi dei quali la W.S. Wasteney Smith, la Byers, la Iglefield, la tedesca Tyzack, le italiane Ansaldo, Torino, S.Giorgio, Fonderia Milanese Acciaio, le francesi Samuel Taylor, Turbot e Marsel.

Altri tipi costituiscono più che altro una curiosità, come l’ancora con braccia modificabili o con due braccia scorrenti lungo il fusto.

In questi ultimi due o tre decenni sono comparsi altri numerosi brevetti rispondenti a necessità particolari quali l’ancoraggio delle grandi piattaforme petrolifere in mare aperto (le grandi Hook, 1976, pesano dalle 5 alle 60 tonnellate ed hanno capacità di trattenuta fino a 50 volte il proprio peso) o piccole ancore per imbarcazioni da diporto e da crociera, di poco peso e potere mordente maggiorato, fino a 4 o 5 volte il peso. Varie le fogge, palmate o a forma di vomero, talvolta non riconoscibili a prima vista. È del 1933 l’ancora C.Q.R., a vomero, del 1937 la Northill, del 1939 la Danforth.

Da notare un piccolo gruppo di ancore con il ceppo scendente o sistemato a contatto dei bracci come nel tipo adottato nel 1950 dalla nave più moderna, la Savannah a propulsione nucleare.

Fig. 11 - Ancora francese (1791)

Fig. 12 - Ancora a fungo stellato (John Christopher, 1821)

Fig. 13 - Trotman (1840)

Fig. 14 - Ancora tedesca del 1800

Fig. 15 - Marrel (1850)

Fig. 16 – Ancora da sabbia Eell Co’s (1916)

Fig. 17 - Tyzack San Rocco (1885)

Fig. 18 - Ancora da piattaforma petrolifera Meon Mark 3

 

 

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In etnologia si ritrovano ancor oggi le varie linee di sviluppo dell’ancora, i suoi percorsi evolutivi secondo una morfologia assai ricca. Dal sasso grezzo al sasso sgrossato e lavorato (Nuova Zelanda), la pietra a disco (Brasile), quel singolare disco forato e appesantito da un sasso levigato in forma di ellisse di rotazione, che sembra autoctono dell’isola di Celebes.

Tutto un gruppo di sassi squadrati o arrotondati in funzione gravitazionale applicati su braccia lignee disposte a croce o su tavola si trova lungo le coste del Brasile, delle province basche, del Baltico (Steindraggen), della Norvegia (krake), del Massachusset negli Usa, ivi portato evidentemente da emigranti europei, da cui deriverebbe il dorg canadese.

Si ritrova anche il cesto di vimini riempito di pietre come il killik e il burgh inglesi.

L’ancora di legno ad un braccio, che si è visto in sede di prima evoluzione dell’ancora greca, è molto diffusa nel Vicino, nel Medio e nell’Estremo Oriente; a Madras (India), in Malesia, in Indocina, spesso con appesantimento litico.

La vasta area cinese è particolarmente ricca di modelli o tipi, di legno, di bambù ed anche tradotti in metallo senza modifica dell’antico disegno, con o senza ceppo, con o senza sassi di appesantimento. Esiste anche un’ancora ad un braccio con ceppo mobile.

Numerosi i tipi a due braccia quasi sempre senza marre, con o senza ceppo (talvolta multiplo per compensare la scarsa robustezza). Ma non solo in Cina, anche in India (Irawaddi, Coromandel), dall’Annam al Viet-Nam, dalla Corea al Giappone. Talora di struttura molto primitiva e rozza, ma anche frutto di una carpenteria raffinata con le varie parti ad incastro.

Conviene soffermarsi sull’area cinese, considerata da taluni l’area genetica dell’ancora. Gli studiosi Giles e Moll hanno raccolto la tradizione secondo la quale l’evento sarebbe da iscriversi a prima del 2000 a.C. e precisamente all’imperatore Yu. Ma nell’antico dizionario Erh Ya, detto anche Shih Ming, apparso al tempo della tarda dinastia Han (25-221 d.C.) non si trova alcun cenno di ciò pur non mancando lemmi riguardanti le imbarcazioni, gli alberi, le vele, i remi. Bisogna arrivare al III sec. d.C. per trovare un riferimento a qualcosa riferibile all’ancora a gravità nella citazione riguardante un vecchio vascello trovantesi in mezzo ad una corrente. Altre citazioni riguardano larghe pietre il cui peso e la frizione sul fondale assicuravano la ritenuta propria dell’ancora. Il navigatore Fa Hsien, il primo cinese a toccare l’India nel 417 d.C. usa la locuzione “lasciare in basso una pietra” e il radicale “pietra” è passato nel termine “ancora” anche quando si è cominciato ad unire l’effetto gravità con la presa propria della marra, intorno al VI sec. d.C.. La nuova struttura compare, infatti, nel dizionario Yu P’ien citato nell’anno 543 d.C..

Un altro tipo di ritenuta era in uso nei tempi più antichi, detta “bastone nel fango”, riferibile inizialmente alla dinastia Sung del 960 d.C.. Molto usato dalle imbarcazioni dello Yang Tze Kiang, quindi nelle acque interne. Un semplice bastone fatto passare attraverso una scatola guida verticale sotto la carena fino al fondale. Di ciò si trova ancora qualche esempio nelle acque basse dell’Indocina (in un recente passato anche in Irlanda e in Olanda, nei pressi di Rotterdam).

Non mancano poi, in Occidente, ancore per uso speciale, di forme ben differenti da quelle che si immaginano comunemente dover presentare l’ancora: a fungo (per fango), a braccia ripiegate in varie fogge, a massa (Samuel Hemman, 1809), a pesante stella a sei punte (John Cristopher,1821), a doppia barchetta divaricata con verga triangolare (americana del 1831).

Ci sono poi le ancoresse, ad un solo braccio, per usi speciali. Ancore a grampino da galera e da barche piccole, a tre, quattro o più ganci, di antica origine, fanno capitolo a parte che conviene, qui, tralasciare.

Fig. 19 - Brasile, ancora lignea, appesantita, di jangada

Fig. 20 - Ancora lignea, appesantita, di Birmania

Fig. 21 - Ancora di legno e bambù, appesantita, del Viet-Nam

Fig. 22 - Giappone, ancora di battello da pesca della regione settentrionale

 

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Si è fatto cenno all’effetto gravità, al peso dell’ancora prima ancora dell’effetto della presa sul fondale mediante le marre. A questo fine vale anche la catena, la cui lunghezza è legata direttamente all’effetto ancorante pari a 4-5 volte il suo peso.  

In sede di progettazione i rapporti tra le varie parti dell’ancora sono studiati accuratamente e variano col suo tipo e la sua massa in funzione della grandezza della nave. L’ancora non è, infatti un accessorio ma uno strumento d’importanza fondamentale, fatta oggetto di precise norme vincolanti, accurate verifiche e prove riguardanti il peso, la resistenza alla caduta, il martellamento, la resistenza alla trazione per ognuna delle quali vengono impresse delle marcature in posizione prestabilita quale prova dell’accertata integrità assieme al numero del certificato rilasciato e la data (mese ed anno). Tavole complesse sono pubblicate dai vari registri navali, che rendono obbligatorie due ancore di posta, un’ancora di riserva (come l’ancora sacra degli antichi, o l’ancora di speranza dei velieri) e un’ancora di tonneggio per le manovre in acque ristrette. Le navi militari portavano a poppa un’ ancora detta di corrente.

Il transatlantico Rex, di 45.650 t.s.l., aveva, ad esempio, tre ancore di posta da 9.700 kg ed una di tonneggio, con ceppo, di 3.975 kg.; il transatlantico Giulio Cesare, di 27.370 t.s.l., ne portava tre da 7.115 kg e una di tonneggio da 3.000 kg di tipo romano (ammiragliato).

 

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Il naviglio minore e le barche non abbisognano di ancore  pesanti oltre il limite proprio del materiale costitutivo essendo per lo più sufficiente la presa naturale. Meglio ancora la presa assicurata da qualche appropriato artificio di forma per cui sono comparse forme particolari che hanno trovato una grande diffusione specialmente nell’epoca moderna con il grande proliferare delle imbarcazioni da diporto. Compaiono innumerevoli tipi di ogni peso, grandezza ed efficacia a partire dai tipi a più marre, a bracci mobili ripiegabili  e a  orecchione fisso di produzione industriale ma non di rado anche artigianale.

Non è possibile in questa sede dare che qualche esempio, con un solo cenno alle così dette “ancore galleggianti” formate da superfici tenute verticali sott’acqua per frenare  la deriva del naviglio in caso di avaria.

   

 

Fig. 23 – ancora di nave dei cinque Porti (sec. XII) da sigillo coevo
Fig. 24 – ancora ripiegabile di ferro zincato, a 4 nappe mobili – kg. 9

Fig. 25 – ancora di ferro zincato per piccolo battello a 4 bracci ripiegabili Kg. 10 cm. 62 x 60 1975-79
Fig. 26 – ancorotto AV da 5 Kg – 1979 Vianini

Fig. 27 – altezza circa 1,00-1,25 metri
Fig. 28

Fig. 29
Fig. 30 – piccola ancora per imbarcazioni da diporto

 

Fig. 31 – ancora da sabbia – Ancore Vianini S.n.c.

 

 

 

L’ ANCORA  COME  INSEGNA  E  SIMBOLO

 

Nel vasto campo della simbologia l’ancora, per quanto riguarda il mare e le sue attività ma non solo,  condivide con l’aquila e con il leone la figurazione di maggior impiego.

Nel campo delle marine militari e mercantili si pone come contrassegno di grado e di funzione, si presenta frequentemente in araldica, monete, medaglie, insegne e marche svariate, sigilli e timbri,  prodotti industriali e attività commerciali anche non legate al mare, nulla escluso per quanto può costituire un richiamo in una illimitata varietà di soggetti.

 

Alcuni esempi di insegne:

 

Fig. 32 – fregio della marina da guerra austro-ungarica  (a sinistra) e della marina da guerra italiana (a destra)

Fig. 33  – fregi della marina militare italiana dal 1873 al 1946

Fig. 34 – marina mercantile inglese e marina militare inglese

Fig.  35 – HMS Hood, US Marines Corp, Aviazione Navale Francese

 

 

Alcuni esempi di simbolo:

Fig. 36 – Pompei. Mosaico della Domus Melissaei detta Casa dell’Ancora

Fig. 37 – Gabinetto delle Medaglie di Berlino - monete

Fig. 38 – monete: colonia fenicia di Tharros (Sardegna), 500 a.C.; di bronzo, etrusca; di Apollonia del IV sec. a.C.

Fig. 39 – marca tipografica di Aldo Manuzio, 1504

Fig. 40 – Amm Thaon de Revel   S.N. “Puglia” - Bari

Fig. 41 - varie

 

 

 

 

FONTI

 

Francesco Cafiero – Manuale del tecnico navale - La Spezia 1952

Jacques Gay – L’evoluzione delle ancore dall’antichità all’apogeo della vela (traduz. A.Cherini) – Le Chasse Marée, Revue d’Histoire et d’Ethnologie Maritime, Douarnenez, N° 10, I trim. 1984

AA VV – Nautica, Mensile internazionale di navigazione. Diversi numeri, con ricostruzioni e con notiziari riguardanti i reperti.

Ugo Nebbia – Le navi di Nemi - Roma, 1940

Lloyd’s Register of British and Foreign Shipping – List of Patent Anchors sanctioned by the Committee – 1905

Aldo Cherini Album atlante dalla preistoria ai tempi storici e attuali, raccolta di 444 fogli.