IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE

 

 

Le guerre non scoppiano per caso, ma sono la fase culminante di un processo che richiede molto tempo in preparazione, ben in anticipo alla deflagrazione del conflitto. Per quanto riguarda l’Europa in crescente tensione politica, ciò non sembra possibile prima del 1943-44, come reputato dagli stessi strateghi tedeschi, almeno della marina. Se non che il dittatore Hitler anticipa i tempi, per suoi calcoli politici, al 1939.

L’Italia mussoliniana non è pronta, dichiara una neutralità, o meglio una non belligeranza, alla quale pochi credono. Entra nel conflitto infatti nel 1940 lasciandosi trascinare, fidando in una breve durata dell’impegno militare, in un’avventura che non tarda ad assumere contorni inquietanti con allargamento a dismisura delle operazioni (Africa Settentrionale e Orientale, Egeo, Grecia, Balcania, Russia, Lago Ladoga, Mar Nero, Oceano Atlantico, Mar Rosso, Oceano Indiano).

Il potenziale italiano sul mare appare a prima vista equilibrato, nel Mediterraneo, con il potenziale anglo-francese in termini quantitativi, almeno inizialmente. Ma in realtà – fatto non ignorato dal governo e dagli stati maggiori delle forze armate – non è così, ci vuole ben altro. Il potere aeronavale britannico, considerato il primo in sede mondiale, può contare su di una base tecnico-industriale ben superiore a quella italiana in materia di rimpiazzi e di nuove applicazioni tecniche. Emergono ben presto anche manchevolezze ed eccessive prudenze (scambiate per immobilismo) nella conduzione strategica e perfino tattica delle operazioni.

La gente tuttavia risponde, s’impegna con tenacia e valore, sottosta' a grandi sacrifici tanto che non mancano i successi, taluni clamorosi, con una media di personale imbarcato di 71.000 uomini, 4800 dei quali lasciano la vita in azione. Le medaglie d’oro al valor militare sono 158 individuali ed altre vanno alla nave o al reparto, alla bandiera delle Forze Navali da Battaglia, al comando dei Mezzi d’Assalto, all’incrociatore “San Giorgio”. Nonostante l’aspro contrasto delle agguerrite forze aeronavali avversarie, vengo trasportate oltremare grandi unità del R.Esercito con tutto il materiale e il flusso degli approvvigionamenti, che non sono ricchi nemmeno in patria, e ciò a costo della perdita di un grande numero delle navi impiegate. Arrivano a destinazione il 92% degli uomini e l’86% dei materiali, si conta una media di 4 convogli al giorno, mentre gli avversari in tutto il periodo delle ostilità muovono solo 14 grandi convogli, fortemente protetti, che arrivano falcidiati o devono tornare indietro.


Nell’estate del 1940, le forze navali sono organizzate e ripartite in 2 squadre, 1 squadriglia di dragaggio, forze compartimentali nei 2 settori dell’Alto – Basso Tirreno e della Sicilia–Sardegna, il Reggimento San Marco, la squadra sommergibili in 5 gruppi, la X Flottiglia MAS, i treni armati, il comando superiore in Atlantico (Betasom) con un totale di 387 navi e 62 MAS operativi, con accentramento dei collegamenti nella sede protetta di Santa Rosa, dove risiede il comando in capo, detto in codice Supermarina, la centrale operativa, il sistema delle comunicazioni. Iniziano subito i grandi lavori di trasformazione dei transatlantici “Roma” e “Augustus” in navi portaerei. Altre navi, francesi e jugoslave, passano sotto bandiera italiana con la caduta della Francia e con l’occupazione della Dalmazia.

 

Non va dimenticata in questo complesso quadro la marina mercantile, le navi grandi e piccole che assumono la livrea grigia e la mimetizzazione degli scafi simile a quella delle navi militari con le quali si muovono affrontando gli stessi pericoli. Incrociatori ausiliari, navi ospedale, unità di soccorso e ambulanza, trasporti truppa e materiali, petroliere, unità di scorta, dragamine meccanici e magnetici, unità di sorveglianza foranea, violatori di blocco negli oceani, unità per missioni speciali e logistiche, tra le insidie dei campi minati, gli scontri a fuoco, gli attacchi dei sommergibili e più ancora degli aerei. Viene dato tutto il possibile a costo di perdite impressionanti di navi e di uomini, oltre 6000 i caduti, ben meritando la medaglia d’oro al valor militare conferita alla sua bandiera. Basti pensare che dall’ottobre del 1942 al gennaio del 1943 vanno perdute 292 navi sulle 344 impiegate e che alla fine del conflitto la consistenza del naviglio è ridotta al 10% del tonnellaggio del 1940.

 

I fatti salienti, talvolta interconnessi, con esiti sia positivi che negativi, sono:

·          lo scontro di Punta Stilo

·          l’attività dell’incrociatore “San Giorgio” a Tobruk

·          la notte di Taranto

·          la base segreta di Algesiras, di fronte a Gibilterra

·          l’attacco alla Grecia

·          lo scontro di Capo Teulada

·          il bombardamento navale dimostrativo di Genova

·          l’operazione di Suda (Creta)

·          lo scontro di Pantelleria

·          tentato forzamento della base navale di Malta con mezzi di superficie e subacquei

·          la prima battaglia del Golfo della Sirte

·          l’azione notturna di Alessandria d’Egitto

·          la seconda battaglia del Golfo della Sirte

·          l’operazione di mezzo-giugno 1942

·          la notte di Capo Matapan

·          i violatori di blocco

·          il rientro dei civili dall’Africa Orientale, gli scambi in mare degli invalidi e feriti gravi tramite la Croce Rossa Internazionale

·          i sommergibili negli oceani

·          il caso “Laconia”


Leggendarie restano le imprese degli speciali reparti che vanno sotto il nome in codice di Xa Flottiglia MAS, senza uguali nelle altre flotte belligeranti, in cui si distinguono gli operatori dei S.L.C. (siluri a lenta corsa) detti “maiali” con il sommergibile d’appoggio “Scirè” al comando del c.v. Valerio Borghese e gli uomini “gamma”. Si tratta di soli 238 uomini, impiegati in 38 rischiose operazioni costate la perdita solo di 20 uomini grazie ad una selezione, un addestramento e ad una preparazione unica. Caso emblematico l’affondamento delle due corazzate d’Alessandria d’Egitto (1941), le sole rimaste nel Mediterraneo, con un’azione che non ha comportato il versamento di una sola goccia di sangue. Reparti che si sono guadagnati 30 medaglie d’oro, 93 d’argento, 40 di bronzo.

 

L’ago della bilancia oscilla, ma cala inesorabilmente con l’entrata in guerra degli Stati Uniti d’America che gettano nella lotta un potenziale enorme sorretto da una capacità produttiva, industriale ed economica tale da non temere confronti. Basti citare, a titolo di esempio, la comparsa delle navi tipo “Liberty” prodotte in sezioni prefabbricate decentrate fuori dei cantieri, sugli scali dei quali vengono poi assemblate e varate ciascuna in poco più di 4 giorni.

L’Italia arriva irrimediabilmente al tracollo dell’8 settembre 1943, con lo sfascio di gran parte delle forze armate ma non della R.Marina, che affronta gli eventi obbedendo all’ordine di lasciare le acque metropolitane inalberando il segnale del “pennello nero” e scendere al Sud, a Malta, mantenendo però la bandiera tricolore. Poche le perdite, la più grave delle quali quella della nave da battaglia “Roma” colpita da aerei tedeschi con un nuovo tipo di bomba a caduta radioguidata, che causa la perdita di oltre 1200 vite umane, tra cui l’amm. Carlo Bergamini, comandante in capo della flotta.

Prendono il mare tutte le navi in grado di muovere, per un totale di 191 unità. Restano fermi la corazzata “Cavour” ai grandi lavori di trasformazione, 4 incrociatori, 11 caccia, 21 torpediniere, 34 sommergibili per un totale di 128 unità in vario grado di inagibilità, con centri di resistenza a Genova, Trieste, La Maddalena, Piombino, Venezia, Castellamare di Stabia, Cattaro, Portoferraio, Rodi, Cefalonia e Lero, dove la lotta dura due mesi impegnando notevoli forze tedesche.

Si apre conseguentemente un nuovo capitolo diviso in due parti:

·          la R.Marina al Sud

·          la marina della RSI- Repubblica Sociale Italiana al Nord.

L’una e l’altra fortemente condizionate dalle potenze in lotta, che non risparmiano umiliazioni.


Al Sud, a Taranto, si ricostituisce il R.Ministero della Marina con lo Stato Maggiore e le diverse direzioni generali. Il 23 settembre, dopo soli 15 giorni dalla resa, s’incontrano a bordo dell’incrociatore “Euryalus” l’amm. Cunningham, comandante in capo inglese, e l’amm. de Courten, ministro italiano della marina, e ne scaturisce un accordo di collaborazione. Le due grandi navi da battaglia vengono però internate nei Laghi Amari della zona di Suez, dove restano fino al 1946. Due incrociatori vengono mandati ad operare nel Sud Atlantico con base a Freetown, ai quali si unisce presto un terzo. Un quarto passa nel canale di Suez con compiti di addestramento aeronavale. I sommergibili vengono dislocati ad Haifa, Gibilterra e alle Bermude. Il servizio di scorta passa gradualmente alle navi italiane mentre missioni particolari vengono affidate al naviglio silurante minore. L’Arsenale di Taranto e le officine lavorano a pieno ritmo. Ma malgrado ciò, non viene riconosciuto per ragioni politiche lo stato di alleanza, solo quello di cobelligeranza. Vengono impiegati nel complesso 75.000 uomini, 27.000 dei quali imbarcati, oltre ai 3000 del Reggimento San Marco, che viene mandato in prima linea sul fronte appenninico. La cobelligeranza viene a costare 772 caduti e 4809 dispersi.

Molto restrittivi al Nord i rapporti con la marina tedesca, che alza la propria bandiera su quante unità, ricuperate e riarmate, ritiene impiegabili. Vengono rimessi al lavoro i cantieri navali, ma lasciati in abbandono le navi più grandi quali la portaerei “Aquila” a Genova, l’incrociatore “Gorizia” a La Spezia, la corazzata “Cavour” a Trieste. I tedeschi lasciano alla marina della RSI pochi MAS e minisommergibili per la difesa costiera, alla quale non resta altro che organizzare reparti della Xa MAS impiegandoli nelle guarnigioni di terra e nei posti di blocco della Venezia Giulia orientale, la più minacciata dalla penetrazione slava.

Profilandosi la ritirata dei tedeschi, la Xa MAS del Sud tenta di raggiungere un accordo con la Xa MAS del Nord inviando propri emissari oltre le linee per costituire un fronte comune di difesa del confine orientale, ma l’azione viene vanificata sul nascere dalla contrarietà di parte politica influenzata dalle componenti di sinistra, che appoggiano quello che sta diventando il blocco orientale capeggiato dall’URSS.

 

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