Aldo Cherini

 

 

K.u.K. KRIEGSMARINE

LA MARINA IMPERIALE DI VIENNA

1814 – 1918

 

 

 

L’Austria, potenza eminentemente continentale nel cuore della Mitteleuropa con un confine che a meridione tocca il Mare Adriatico, ha con Trieste la porta aperta sulle vie non sempre pacifiche dell’Oriente e del favoloso mondo emergente. Deve pensare ad una propria marina quando, declinata la potenza egemone di Venezia e scomparso Napoleone, estende la frontiera marittima lungo la Dalmazia fino a Cattaro.

Venuta in possesso di Venezia e del suo grande arsenale, alza la propria bandiera al picco del naviglio mercantile e mette mano, si direbbe senza molti entusiasmi, anche alle navi militari.

Siamo nel 1814 e si apre così una prima fase detta “Austro – Veneta” che allinea navi a vela e le prime vaporiere a ruote in rapido sviluppo tecnico. Essa dura fino al 1848, anno che rappresenta un giro di boa foriero di grandi sviluppi. Venezia insorge e la metà degli equipaggi passa dalla parte degli insorti, ma non può resistere e deve alzare la bandiera bianca.

 

Col ritorno della pace si entra in una seconda fase che passa sotto il nome di “I.R. Marina Austriaca” improntata da una tedeschizzazione più formale che sostanziale data la pluralità delle nazionalità degli imbarcati ( austriaci, italiani, ungheresi, polacchi, cecoslovacchi, ruteni, slavi del sud). Inizialmente branca dell’esercito, la marina viene posta su nuove basi dal danese Hans Dahlerup seguito dall’arciduca Massimiliano che è il primo degli Asburgo a vestirne la divisa ed a richiamare l’attenzione su di essa. Il progresso tecnico rivoluziona l’armata a bordo (interessante la sistemazione a casamatta centrale delle artiglierie) ed anche a terra ed ha inizio quella serrata lotta tra cannone e corazza che impegnerà tutte le marine fino alla metà del secolo successivo. Arriva il battesimo del fuoco con due avvenimenti da ricordare, la battaglia navale di Helgoland del 1864 quando l’Austria si unisce alla Prussia contro la Danimarca e la battaglia navale di Lissa del 1866 nella terza guerra d’indipendenza italiana. Emerge la figura carismatica del viceammiraglio Wilhelm von Tegetthoff. Il 1866 è l’anno di nascita del siluro, l’arma marina per eccellenza, avvenuta a Fiume con prove pratiche eseguite dalla cannoniera “Gemse”, che pertanto può venir considerata in sede storica la prima nave ad aprire la infinita serie delle siluranti.

Il 1867 vede la terza e più importante fase, l’ “Austro-Ungarica”, frutto di tensioni interne composte con il riconoscimento della parità tra le due nazioni col cambiamento di bandiera della marina, più vistoso in quella mercantile, e dell’intestazione non più “I.R.” (imperial regia) ma “I. e R.” (imperial e regia) cosa che distrattamente può sembrare irrilevante ma di significato politico.

Segue un periodo di riorganizzazione e di potenziamento lento ma costante, che porta l’attenzione sui monitori fluviali con l’occupazione, nel 1878, della Bosnia ed Herzegovina, e quello dei monitori diviene una branca di non poca rilevanza nelle forze armate imperiali stante l’importanza delle vie d’acqua, Danubio e suoi affluenti.

Si effettuano crociere all’estero a mostrare la bandiera con presenze impegnative quali la spedizione in Cina del 1899-1900 all’epoca della rivolta dei boxers o la dimostrazione navale al tempo della crisi balcanica del 1912-13 quando viene costituito a Creta un comitato internazionale di ammiragli. Notabili una crociera scientifica di due anni intorno al mondo effettuata nel 1857 dalla fregata a vela “Novara” e nel 1872 un viaggio di esplorazione della nave “Admiral Tegetthoff” verso il Polo Nord, che è ancora lungi dall’essere raggiunto.

L’opera di adeguamento imposta dall’avanzata delle tecnologie che non richiedono e non consentono più tempi lunghi di realizzazione presenta non pochi problemi assai discussi in sede parlamentare e politica in tema di disponibilità finanziaria. La marina trova un energico sostenitore nell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo Este, erede al trono imperiale.

Ne risente anche la base principale di Pola, piazzaforte con arsenale ed estesa impiantistica, considerata la prima del Mediterraneo. La difesa costiera risponde sostanzialmente agli stand internazionali ma alla fine del 1800 le opere fortificate costiere sono in gran parte tecnicamente superate. Iniziati i lavori a Pola nel 1855, si arriva al 1914 quando non tutte le opere sono completate, con la denuncia di sensibili differenze riscontrate tra le due zone principali del fronte mare e del fronte terra (che contano rispettivamente 120 e 250 pezzi), con una congerie, inoltre, di troppo differenti calibri tra le varie batterie, a terra e sulle isole Brioni, sulla rada e sul canale di Fasana. Non grande inoltre la disponibilità di scorte che non supera i 7 mesi. Se ne interessano il gen. Franz Conrad von Hötzendorff, capo di stato maggiore generale, d’intesa con l’amm. Rodolfo Luigi Montecuccoli, ministro della guerra, e si pone mano nel 1908 alla modernizzazione che, però, viene fermata dallo scoppio della guerra. Si stende prontamente all’uscita del porto un grande campo minato difensivo e succede un fatto assai luttuoso quando il piroscafo del Lloyd Austriaco “Baron Gautsch”, nel viaggio di rientro dalla Dalmazia, va ad urtare accidentalmente una di queste mine colando a picco in pochi minuti e trascinando nei gorghi centinaia di sventurati uomini donne e bambini.

Migliore si presenta la situazione per quanto riguarda la flotta, affidata al comando in capo dell’ammiraglio ungherese Miclos Horthy von Nagybànya. Le quattro grandi costosissime corazzate della classe “Tegetthoff”, le capital ships varate a Trieste e a Fiume, sono tutte allestite, anche se per una di esse si lamenta qualche ritardo, e molta attenzione viene riservata ai sommergibili.

Lo scrittore Karl Gogg elenca a partire dal 1848 31 navi di linea, 31 incrociatori, 68 navi minori, 64 navi a ruote di vario impiego, 169 siluranti, 107 sommergibili, 23 navi ausiliarie per un totale di 393 unità, ma ce ne sono altre in cantiere o non completate, col corredo di 264 fotografie costituenti una chiara panoramica.

La guerra si trascina fino al 1918 in continue azioni di logoramento che impegnano le unità minori. Le grandi navi non lasciano la loro base se non per due volte, la prima all’inizio della guerra per un’azione dimostrativa di bombardamento lungo la costa marchigiana e abruzzese, la seconda nel giugno del 1918 finita con l’affondamento della corazzata “Szent Istvàn”. L’Adriatico si presta piuttosto alle scorrerie delle navi veloci minori, dei MAS italiani, dei sommergibili, alla guerra di mine e al bombardamento aereo con i Löhner austriaci e i grandi Caproni italiani. I Tedeschi mandano sommergibili con base a Cattaro e a Pola, gli alleati Inglesi, Francesi e Americani per lo più naviglio minore con base a Corfù e a Brindisi.

La vita degli equipaggi si fa sempre più dura finché, nel febbraio del 1918, gli equipaggi delle cinque navi maggiori alla fonda nella base di Cattaro si ammutinano alzando la bandiera rossa e avanzando una serie di richieste, ma invano perché devono cedere di fronte alla ferma reazione e rientrare nei ranghi.

Nella seconda metà del 1918 il canale d’Otranto viene chiuso con un’opera colossale per il suo tempo, una rete minata con 1200 torpedini e lunga 66 chilometri, attivamente sorvegliata, che va da Otranto (Puglia) fino a Corfù. Nel giugno del 1918, la corazzata “Szent Istvàn” esce da Pola con la compagna “Tegetthoff” per un’azione di sfondamento dello sbarramento che però non riesce. Significativo il fatto che nell’azione, che sembrerebbe impossibile, si trovano impegnati due piccoli veloci MAS con 4 siluri da un lato e una formazione di 9 navi con molti cannoni di tutti i calibri dall’altra. Pochi mesi prima è stata silurata da un MAS anche la corazzata costiera “Wien” alla fonda nella rada tra Muggia e Trieste.

Cinque mesi dopo si arriva alla fine delle ostilità con la firma di un’armistizio tra l’Italia e l’Austria-Ungheria che, firmato il giorno 3, entra in vigore nel pomeriggio del 4 novembre 1918. Ma fatalità vuole che nella notte tra l’1 e il 2 novembre due assaltatori italiani penetrano nella base di Pola, minano e provocano l’affondamento della corazzata ammiraglia della flotta, la “Viribus Unitis”. I sommergibili tedeschi presenti nelle basi di Cattaro e di Pola lasciano gli ormeggi per ritornare in Germania e i battelli che non possono muovere, sono portati fuori dei frangiflutti ed affondati con le cariche di autodistruzione.

Contando soltanto le capitalship o navi maggiori, la lotta è costata alle due parti in lotta perdite pressoché equivalenti per numero, quattro o cinque unità per parte, ma bisogna tener conto che due unità italiane sono affondate alla fonda (a Brindisi e a Taranto) per atti di sabotaggio da parte di agenti prezzolati, identificati e fucilati. I Francesi perdono due unità.

Una delle clausole dell’armistizio prevede che ciascuna unità della flotta austro-ungarica segnali per radio attraverso la stazione ultrapotente di Pola la propria posizione. Ma non arriva nessun segnale, non subito, non dopo. È successo un fatto imprevedibile. L’imperatore Carlo, abbracciato un proprio personale progetto inteso a salvare la corona magari in forma federale tra stati consenzienti (ma non l’Ungheria che nega la sua adesione), ha deciso di giocare una delle carte dichiarando “motu proprio” con nota imperiale del 30 ottobre ed effetto dal 1 novembre, la consegna della flotta allo stato “in fieri” degli slavi del sud che trova nei croati i più attivi propugnatori pronti ad approfittare del momento. Non solo, ma anche tra gli Inglesi, i Francesi e gli Americani sta venendo meno la coesione riguardo la sistemazione politica dell’ Adriatico Orientale temendo una eccessiva espansione italiana e di fronte alla spartizione del grande bottino rappresentato dalla flotta mercantile e militare del disciolto impero.

Arrivano a Pola gli Italiani nel pomeriggio stesso del 4 novembre, trovano la città nel caos più completo e le navi militari cadute in mano ai comitati dei marinai che, esautorati gli ufficiali, hanno alzato al picco la bandiera bianca, rossa e blu. I forti principali sono occupati da slavi dei disciolti reggimenti calati anche dall’entroterra. Il porto non ha mai visto tante navi di differenti bandiere occupanti tutti gli ancoraggi, i moli e le banchine. Molte navi vengono trovate anche a Sebenico, per lo più mercantili, una ventina, alla fonda nel lago Proclan, e nelle Bocche di Cattaro, dove si contano 31 navi militari, 6 sommergibili, 10 piroscafi. I monitori fluviali si raccolgono tutti a Budapest.

La città di Pola vive ore di grandissima tensione tra manifestazioni disordinate, rumorose e contraddittorie anche tra gruppi di militari congedati delle varie nazionalità che attendono il rimpatrio reso difficile dal fatto che esiste una sola linea ferroviaria. Il servizio d’ordine del comando di piazza italiano viene a trovarsi grandemente impegnato. Si costituisce un comitato di ammiragli delle forze alleate e torna faticosamente l’ordine. Una formazione formata da due grandi navi di linea, un incrociatore, due cacciatorpediniere, cinque torpediniere e quattro sommergibili viene inviata in parata dimostrativa, senza bandiera, a Venezia.

La sorte delle navi militari viene decisa a Parigi nel 1919. Segue la spartizione tra l’Italia e la Francia mentre l’Inghilterra e gli Stati Uniti rinunciano anche per il fatto che prevale l’avviso di avviare alla demolizione specialmente le corazzate. Le due superstiti capitalship “Tegetthoff” e “Prinz Eugen” vengono assegnate per tale fine all’Italia e alla Francia. Al consiglio nazionale del nuovo stato slavo in via di formazione, il regno SHS (Serbi Croati Sloveni), misconosciuta la pretesa consegna di tutta la flotta tentata dall’ex imperatore Carlo, vanno 8 torpediniere d’alto mare (che nel 1942 passeranno sotto bandiera italiana), 4 torpediniere modificate, 4 navi ausiliarie e alcune unità portuali.

L’ex imperatore Carlo I°, fallito ogni tentativo di salvare il salvabile, abbandona il 23 marzo 1919 l’Austria in ferrovia per la Svizzera.

È curioso il fatto che una nave ausiliaria, già declassata dalla stessa Austria-Ungheria col nome “Spittfeuer”, sia rimasta pressoché dimenticata in un angolo di Taranto col nome “Sputafuoco” per venir demolita qualche anno dopo il 2000.

 

 

 

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Nota a margine

 

La K.u.K Kriegsmarine è un organismo di tutto rispetto che, per il suo tempo grazie ad un supporto tecnico cantieristico di primo piano, gioca un ruolo non indifferente anche se limitato per estensione equorea e costiera da quel canale, che tale può essere considerato il Mare Adriatico.

Tuttavia due fatti, verificatisi entrambi nel 1866, vengono a incidere grandemente nella storia di tutte le marine militari condizionando la costruzione delle navi e le tattiche d’impiego, in buona parte ancora imperanti. Intendiamo la prua rostrata e il siluro.

Il 20 luglio di quell’anno si scontrano nelle acque di Lissa le squadre navali italiana e austriaca in un combattimento che è enfatico chiamare battaglia per la brevità dell’azione e la indecisione di entrambe le parti in lotta a concluderla. Le distanze tra gli avversari sono ridotte al minimo, il fuoco delle contrapposte batterie armate con centinaia di cannoni produce tanto fumo da oscurare la chiara visione delle parti, che ad un certo momento si trovano divise in due gruppi. La corazzata italiana “Re d’Italia” colpita al timone da una cannonata viene a trovarsi quasi ferma quando viene investita dalla corazzata austriaca “Erzherzog Ferdinand Max”, il cui sperone penetra con tanto danno da provocarne in breve l’affondamento.

Questo fatto, che ha dell’inaspettato colpo di fortuna per l’avversario, provoca la convinzione che la prua speronata sia di per sé elemento valido come arma di una nave militare per cui ne vengono provviste tutte le navi di tutti i paesi marinari progettate nel quarantennio seguente. Ma niente più speronamenti in battaglia, solo danni accidentali magari in porto.

 

Il capitano di fregata Giovanni Biagio Ignazio Luppis, fiumano, è da tempo impegnato nello studio di un natante esplosivo, che chiama salvacoste, tanto piccolo da farlo pervenire inosservato a contatto di una nave. Chiede contributi governativi per continuare lo studio, ma non viene ascoltato. Finalmente può contattare l’ing. Robert Whitehead, un inglese immigrato, che intuisce la potenzialità dell’insidioso mezzo, rielabora il progetto e ne affida l’esecuzione ad un tecnico meccanico. Nell’autunno del 1866 è pronto il primo prototipo, sommergibile, che viene chiamato torpedo. Le autorità austriache si rendono presto conto del valore della nuova arma, mettono a disposizione la cannoniera “Gemse” che viene munita di un tubo di lancio lungo m. 5,75. Il prototipo sfugge al controllo e si perde, sicché i lanci sperimentali riprendono nel 1868. Se ne interessano l’Inghilterra (1870), la Francia (1872), la Germania (1873), l’Italia (1873) e qui la nuova arma viene chiamata siluro.

Il primo impiego bellico si ha nel 1878 quando una nave russa affonda un guardacoste turco.

Il silurificio Whitehead di Fiume entra in attività nel 1873, fino al 1922 vengono prodotti 14.998 siluri. Il silurificio viene rilevato nel 1924 dall’ing. Giuseppe Orlando che fino al 1933 produce altri 1.265 armi per Spagna, Argentina, Olanda, Jugoslavia, Turchia, URSS.

 

E’ singolare il fatto che il giovane ufficiale di marina ingegnere Rudolf Klaudus (1893 -1964), sorpreso a Pola dalla caduta della monarchia asburgica e notato da esponenti  di spicco del comando italiano, sia diventato, trasferitosi in Italia,  il pittore ufficiale della R.Marina col nome di Rodolfo Claudus, prolifico di opere, acquisendo larga notorietà anche all’estero.

 

 

 

 

 

Fonti

 

 

*       Karl Gogg - “Österreichs Kriegsmarine 1848 – 1918”, Salzburg Stuttgart, 1967

*       Aichelburg Baumgartner Bilzer Pawlik Prasky, Sieche - “Die ‘Tegetthof’ Klasse Österreichs-Ungarns grösste Schlachtschiffe”, Wien Mistelbach, 1979

*       Elvin Sieche- “Cronologia degli avvenimenti riguardanti lo scioglimento e la ripartizione dell’i. e r. Marina da Guerra 1918 – 1923”, “Marine Gestern Heute”, Vienna , marzo 1986 (traduzione Aldo Cherini)

*       Luigi Rizzo- “L’affondamento della “Santo Stefano”e le sue conseguenze militari e politiche”, Trieste, 1927

*       Paul J. Kemp –“La Gran Bretagna e la spartizione dell’i. e r. flotta 1918- 1923” , “Marine Gestern Heute” , Vienna, giugno 1985 (testo inglese tradotto da Erwin Sieche in tedesco, poi in italiano da Aldo Cherini)

*       Silvio SalzaLa Marina Italiana nella Grande Guerra – Vol. III “La vittoria mutilata in Adriatico” Dal luglio 1918 alla conferenza della pace- Gennaio 1919. Ufficio Storico della R.Marina, Vallecchi 1942

*       Contramm. Lepotier- “La fine della flotta austriaca”, “Neptunia” n° 83, III° trim. 1966 (traduzione Aldo Cherini)

*       Wladimir Aichelburg – “Massimiliano d’Asburgo e la Marina Austriaca.”, Testimonianze fotografiche 5, (traduzione) Trieste, 1989