Associazione Marinara «Aldebaran»

Trieste

 

 

Aldo Cherini

 

 

Archeologia della vela

dalla quadra alla latina

Linee per una ricerca interpretativa

 

 

 

 

Oneraria Romana

Museo Nazionale di Aquileia

 

 

Nascita della vela

L’ introduzione della vela è l’ evento più importante verificatosi nel corso della storia dell’ arte marinaresca in un arco di tempo che può valutarsi intorno ai 6000 anni.

Circa l’ origine, conviene indagare su quanto di più semplice sia reperibile nell’ ambiente ecologico e su quanto possa venire attuato nella maniera più spontanea. La memoria e la capacità di osservazione dell’ uomo primitivo sono state molto affinate e indispensabili nella lotta per la sopravvivenza. Intraprendendo la via dell’ evoluzione, l’ uomo primigenio non avrà messo molto a notare l’ effetto del vento sulla vegetazione e a capirne le possibilità dato che il vento faceva presa anche sul suo corpo esercitandovi una pressione sensibile.

È ragionevole supporre che, ad alleviare la fatica della pagaia, l’ uomo dei primi tempi abbia ricercato l’ ausilio di un ramo frondoso da alzare quando il vento spirava nella direzione desiderata.

Dove ciò sia accaduto originariamente è domanda con più risposte perché, come avviene nelle intuizioni spontanee, i punti genetici sono plurimi e le idee si materializzano più o meno contemporaneamente nelle zone più diverse e distanti. Soccorre nell’ indagine l’ archeologia, che è ricca di documentazioni specialmente nelle aree dell’ Egitto e dell’ Europa Settentrionale.

L’ Egitto predinastico tramanda una grande quantità di ceramica vascolare dipinta a vari soggetti tra i quali è frequente la rappresentazione di imbarcazioni (poniamo ciò per scontato, ma non tutti sono d’ accordo data l’ estrema schematizzazione del disegno).

Michele Vocino

“La nave nel tempo” (1942)

 

Un natante appare con un ramo di palma alzato ad una delle estremità, il quale, presentato con effetto decorativo, doveva servire probabilmente per far presa al vento.

Il rasoio di bronzo trovato ad Honum in Danimarca reca a mezza nave un elemento che non è manifestamente infondato interpretare come un ramo frondoso (A). Un elemento similare ma maggiormente stilizzato è visibile anche in taluni dei graffiti su roccia, dei quali la Scandinavia è ricca (B).

Björn Landström

“La nave” (1961), pag.12

 

Lo stesso Björn Landström ricorda di aver impiegato da ragazzo un ramo frondoso quale ausilio per l’ avanzamento di una barchetta e ciò viene a corroborare l’ interpretazione di cui si è detto tanto più che è noto quanto affondino nel passato più lontano le tradizioni nautiche scandinave.

Il primo passo verso la vela è suggerito dalla necessità di dare una forma alla fronda vegetale per migliorarne l’ effetto intrecciando le foglie a stuoia, cosa che consente di tagliare geometricamente la superficie da esporre al vento, come si è osservato fino ad epoca recente in etnografia (Asia sud-orientale, Oceania).

Ciò viene attuato probabilmente nel Vicino Oriente intono al 3500 a.C. Accanto alla vela di stuoia arriva ad un certo momento la vela tessuta di cotone, più leggera e maneggevole, più resistente alle deformazioni, in una convivenza durata a lungo.

La vela nasce quadra, forma spontanea perché più facile da costruire, ma soggetta a notevoli limitazioni nell’ impiego, per cui avviene relativamente presto la ricerca del taglio più rispondente alle esigenze del tipo di natante e suo impiego nell’ ambiente nautico.

 

 

 

“La ricchezza del marinaio

sta nella bolina”

Dalla vela quadra alla vela latina

Che la vela sia nata quadra è dimostrato dalle numerose raffigurazioni e immagini pervenuteci dal passato remoto. La forma è naturale perché determinata dalle pezze di tessuto fornite dai telai.

Ceramica dell’ Alto Egitto

2900 a.C.

Essa ha assunto poi la forma geometrica rettangolare, tenuta dapprima per il lungo, come documentato dalle immagini pervenute dalle prime epoche dell’ Egitto dinastico.

Nave del faraone Kapu-ra

2550 a.C.

Una disposizione del genere poteva andar bene, probabilmente, in zone fluviali schermate da rocce, ma nel basso Nilo la vela si accorcia e si allarga secondo una forma molto diffusa. Sono molto note quelle navi che impiegano una forma tanto allargata da richiedere lunghi pennoni sostenuti da numerosi cavi di manovra probabilmente fissa, in posizione ortogonale.

Nave della regina Hatsepsut

(Hasepsowe)

1500 a.C.

Non è possibile rendersi conto come navigavano navi di questo genere, nessuno ha tentato un costruzione di modello navigante come avvenuto per altri tipi antichi.

 

Per quanto riguarda l’ iconografia greca e romana, è possibile individuare due tipi fondamentali.

A) Nave con la vela bene alzata e tenuta allascata, in posizione grazie a numerose manovre. Non si tratta, nella rappresentazione per lo più vascolare greca di una libertà interpretativa dell’ artista, che non è uno solo come appare nelle tante figurazioni, una cinquantina, pubblicate da Lucien Basch ne “Le musée immaginaire de la marine antique”, Atene, 1987.

Coppa attica del British Museum

540-500 a.C.

Ciò dipendeva forse dalla forza del vento o per rendere possibile determinate andature. Va notata la ricostruzione della nave di Kyrenia effettuata nel 1985 che ha reso possibile la sperimentazione di questa vela nell’ assetto suggerito dall’ antica iconografia raggiungendo la buona velocità di 5-6 nodi.

Ricostruzione della nave di Kyrenia, disegno ricalcato su fotografia

 

 

B) Il secondo tipo è a vele ben tesate e orientate.

Mosaico pavimentale di Ostia

(Sollecthum)

II-III sec. d.C.

Vele orientate sono identificabili in molte rappresentazioni iconografiche, ma è da chiedersi fino a punto ciò ha corrisposto all’ andatura della nave e quanta parte è da assegnare alla necessità rappresentativa dell’ artista.

Quali doti veliere avevano effettivamente le navi antiche a vela quadra ?

L’ oneraria del sarcofago di Sidone (I-II sec. d.C.) mostra la velatura che sembra orientata al gran lasco e la presenza della piccola vela d’ artimone sembra elemento di stabilizzazione e ausilio del timone.

Sarcofago di Sidone (I-II sec. d.C.)

Altra interessante rappresentazione di nave sotto vela viene dal Museo di Susse in Tunisia (paese che è una fonte primaria di informazioni iconografiche navali), proveniente dalla vicina antica Themetra.

Dal mosaico del frigidarium

delle Terme

IV sec.

La vela quadra ha dominato in tutto il Mediterraneo dall’ Egitto pre-dinastico e dinastico alla Fenicia, dalla Grecia all’ impero Romano, e non è del tutto scomparsa. Esistono interessanti sopravvivenze su certe imbarcazioni di zone isolate, come il “comball” e la “gondola” del Lago di Como.

L’ iconografia che ci viene dal passato è abbondante, vedi da ultimo il citato Lucien Basch con il suo “Musée immaginaire” che porta 1134 illustrazioni (fotografie, disegni, incisioni), vedi i graffiti che son migliaia, ma tutto ciò non è stato ancora ben studiato con l’ occhio del velista esperto.

Si sa che la vela quadra porta bene con i venti di poppa, ma già gli antichi navigatori hanno sentito la necessità di disporre di una vela che si prestasse a sfruttare anche i venti provenienti dai settori prodieri. La flotta del grano di Roma, cui era affidato il fondamentale compito di rifornire l’ Urbe, andava verso l’ Egitto, principale fonte granaria, con venti favorevoli di poppa, ma doveva tornare con venti contrari, e ciò creava problemi in termini di tempo di percorrenza influenzati dall’ andamento delle stagioni (apertura e chiusura della navigazione e relati contratti di assicurazione).

La soluzione veniva trovata molto prima di quanto comunemente si creda ma limitatamente alle navi minori con l’ adozione della vela detta “latina”, cioè “alla trina” o “trinata”. oppure con la vela a tarchia, mentre sulle navi più grandi continua a predominare la quadra per molto tempo ancora.

Museo Nazionale Archeologico

di Atene

150 d.C.

Trattasi della documentazione più antica attualmente nota. Da notare la grande superficie del remo timone, che serviva evidentemente anche da deriva. Molto rara è l’ immagine della vela a tarchia doppia secondo un bassorilievo del Museo Archeologico di Istambul.

Museo Archeologico di Istambul

Ma come sono avvenuti i mutamenti e attraverso quali passaggi o accorgimenti? L’ interrogativo non ha ancora risposta e il problema è tutt’ora oggetto di studio, anche perché i tipi delle vele sono molteplici. Lionel Casson ha individuato almeno quattro rappresentazioni di tarchie databili tra il IIº e il IVº sec. d.C., ma anche una rappresentazione del IIº sec. a.C.

Va notato che già la vela quadra veniva orientata angolarmente in bolina con l’ aiuto di una manovra corrente tesata su di un alberetto o pertica alzata a proravia, come documentato da certi intagli d’ epoca imperiale conservati nel Museo di Berlino: l’ andamento del reticolo evidenziato dagli imbrogli correnti sulla superficie della vela rende bene l’ assetto della vela stessa.

 

François Beaudouin (in “Petit Peroquet” nº 12, autunno-inverno 1973-74) pone la prima modifica della vela già col tipo quadro e col vento in poppa. L’ antico navigante si sarebbe accorto che i lati inferiori esterni non prendevano bene il vento e sbattevano. In un primo tempo ricorse al ripiego di alzare la mediana della ralinga inferiore ottenendo quella geometria “a pantalone” (a), che si osserva sia in documenti antichi che in etnologia. Si è dato infine un certo taglio alla vela stessa eliminando gli angoli esterni inferiori (b).

In un mosaico di Leptis Magna si nota una vela alzata con ogni probabilità “a pantalone” e sarebbe questa la testimonianza più antica di una manovra intesa a modificare la geometria della vela quadra secondo la convenienza del momento.

Leptis Magna

Mosaico della casa detta “del Nilo”

III sec. d.C.

 

Da notare un’ interessante sopravvivenza della manovra citata in (a) nella caratteristica barca portoghese del Douro detta “rabelo” (A). Una manovra similare, osservata da Marco Bonino, è praticata anche sul Lago di Como. Vedi inoltre la vecchia gabareau di Nantes, che nella parte superiore porta anche due linee di terzaruoli (B).

 

* * *

Il processo di auricizzazione della vela e lungo e non univoco.

La prima spinta determinante dovrebbe esser stata data dal fatto che son venuti meno, ad un certo momento, gli equipaggi numerosi e a basso costo. Si cominciò probabilmente con l’ inclinare il pennone in modo da presentare al vento un bordo d’ attacco più rigido (a).

L’ accorgimento risulterebbe documentato dai graffiti della Casa di Dioniso a Delo del I sec. a.C., (Jean Savant, “Histoire Mondiale de la Marine”, 1961, pagg. 25 e 26), che pur non rispettando le proporzioni tra le varie parti della nave appaiono di una certa precisione nei particolari.

Una manovra simile è stata notata, ai giorni nostri, in una barca cinese da G.R.G. Worcester (“The Junks and Sampans of the Yangtze”, 1979) (b).

Da qui le ulteriori modifiche che hanno portato alla vela “latina” vera e propria (c) e alla vela “araba” (d) che è una sua derivazione.

Due barche portoghesi di antichissima origine, la “muleta” e la “falua”, conservano i due punti di mura della vela quadra e sarebbero pertanto una testimonianza etnologica del processo di auricizzazione o almeno di una delle sue non univoche linee.

Barca catalana

Beaudouin afferma che certe abituali manovre della vela latina ricordano le manovre della vela trapezoidale originaria, com’ è riscontrabile nella barca catalana dei giorni nostri, la quale, nell’ andatura di poppa, tende a riportare in linea orizzontale la verga della sua vela latina. Marco Bonino segnala una manovra simile nei burchi del Delta padano, cioè la vela tenuta “a campana” (“Archeologia e tradizione navale tra Romagna e Po”, 1978). Esiste inoltre qualche fotografia riguardante barchetti marchigiani a due alberi con la vela di trinchetto (la minore) alzata in maniera tale da potersi considerare vicina a quanto descritto. Non si tratta qui della vela latina ma della derivata vela “al terzo”, con due pennoni, in cui viene mantenuta l’ antica manovra.

Ma esiste anche una documentazione archeologica che sembra suffragare l’ assunto.

Codice di Joannes Scylzes (sec.XIV)

Biblioteca Nazionale di Madrid,

copia di documento dell’ imperatore bizantino

Michele II (820-829 d.C.)

Beaudouin conclude come segue:

1.      all’ origine di ciascuna vela aurica esiste una vela quadra (quadrata o rettangolare);l’ albero, inizialmente centrale e verticale, può presentarsi inclinato espostato verso prora

2.      la vela quadra può essere impiegata sia in posizione ortogonale (propria) rispetto all’ asse longitudinale della nave sia angolata (inizio dell’ auricizzazione): il punto di attacco all’ albero, inizialmente a metà pennone, tende allora a spostarsi (“al terzo”, “al quarto”, o diversamente)

3.      l’ auricizzazione è un processo evolutivo basato sulla necessità di arretrare il centro velico per aggiustare all’ indietro il centro di deriva laterale: la vela cambia la sua geometria.

 

 

Il problema è studiato anche da Pino Dell’ Orco ("Rivista Marittima" nº 1, gennaio 1978), che reperisce il riferimento letterario più antico nella “Meccanica” di Aristotele (330 a.C.):

«Perché i naviganti, dopo aver veleggiato con un vento favorevole, quando desiderano continuare sul loro corso per quanto il vento non sia favorevole, ammainano la parte della vela verso il timone, e stringendo il vento, lasciano libera la parte della vela verso la prua? È perché il timoniere non può produrre un effetto contro il vento quand’ è forte, ma può quando non lo è ed è per questo che loro ammainano (la porzione posteriore della vela)»!

Si spiegherebbe così anche la presenza di quell’ asta di prora di cui si è fatto cenno – la quale non è un albero d’ artimone – visibile su quel bellissimo bassorilievo della bireme di Preneste (tempio della Fortuna Primigenia, Musei Vaticani) rappresentata con vela e albero calati: l’ asta suggerisce la funzione che è resa dal seguente schizzo

A proposito di questo albereretto o pertica alzata a proravia, il Museo di Berlino conserva una chiara documentazione di vele quadre orientate in bolina per stringere il vento con l’aiuto di manovre correnti (boline). L’ andamento del reticolo costituito dagli imbrogli correnti sulla superficie della vela ben evidenzia l’ orientamento della vela stessa.

 

Achille Tazio, vissuto nel V sec. d.C., descrive un incidente di navigazione nel corso del quale viene eseguita una manovra simile, evidentemente non eccezionale. Non si sa fino a che punto e con quale resa le vele quadre romane si sono prestate alla navigazione di bolina, ma sono chiaramente visibili in gran numero di iconografie i numerosi imbrogli, che correvano verticalmente attraverso una serie di anelli sulla superficie anteriore della vela (in un bassorilievo egiziano di tarda età gli imbrogli e i relativi anelli compaiono invece sulla faccia posteriore). Servivano per quella manovra detta “pedem facere” raffigurata chiaramente nel mosaico riminese di Palazzo Diotallevi e descritta da Virgilio (Marco Bonino, “Archeologia e tradizione navale tra la Romagna e il Po”, 1978, pagg. 38 e 173).

«Si naviga infatti a scotte pari quando il vento agisce su entrambi i lati della vela tanto che la stessa si presenta con pennone in croce. Ma se il vento arriva obliquo, cioè di lato, viene cazzata la scotta sotto vento e allentata la mura mentre l’ altra scotta, che si trova sopravvento, viene portata in fuori e allentata: così la vela viene orientata con l’ antenna in opposizione al vento. Nello stesso tempo viene opposto al vento anche il timone cosicché avviene che la nave tiene una rotta obliqua. Ci si oppone al vento, se cresce, affinché la vela non si sposti o si laceri, con l’ alzare e serrare la parte sottovento; l’ altra parte, sciolta, viene mantenuta con la sua scotta e “propes”: così la vela diventa triangolare».

La manovra così descritta compare anche nel bassorilievo di Spalato del II sec. d.C. e in una moneta del Gabinetto Numismatico di Berlino

 

 

 

 

* * *

L’ antica iconografia riporta anche immagini che lasciano assai perplessi. Che dire di quella singolarissima vela, che compare sulla nave romana riprodotta nel mosaico del IV sec. di Low Ham in Inghilterra, che non corrisponde a nessuna delle linee sinora seguite?

George F. Bass, “Navi e civiltà-

Archeologia marina”, 1974,

pag. 132

L’ artista riproduce con cura lo scafo della nave, vista probabilmente in porto, ma si dimostra insicuro per quanto riguarda la vela arrischiando perciò una raffigurazione che tiene rimpicciolita, non proporzionata. Si potrebbe, forse, proporre la seguente correzione da (a) a (b)

dove la vela quadra è supposta col bordo inferiore alzato “a calzone” mentre al di sopra del pennone sono alzate due vele triangolari simmetriche (“suppara” o “artimones”).

Altra rappresentazione singolare, ravvicinabile in certo qual modo a quanto si vedrà più avanti, è data dall’ affresco della cappella di S.Eldrado a Novalessa (Torino) risalente al XIII sec.

È la manovra di riduzione della superficie velica rettangolare praticata ancor recentemente sul Lago d’ Orta per parare improvvisi colpi di vento (Marco Bonino).

Certo è che non è stata ancora studiata in maniera organica e comparata la grande quantità di immagini tramandateci dagli antichi, spesso trascurate perché ritenute fantasiose o non degne di fede. Molte di queste immagini peccano effettivamente nella verosimiglianza (cosa che avviene anche oggi per le libertà che si prendono taluni artisti nel riprodurre navi e barche) ma l’ occhio dell’ esperto è in grado di discernere il buono dal cattivo.

Il ricamo di Bayeux in Normandia, detto “della regina Matilda”, è uno dei documenti non bene studiati sotto il profilo che ci interessa sebbene riconosciuto di eccezionale valore. Risale agli anni 1088-1092, presenta più di una sezione recante in primo piano immagini di navi di tipo nordico nell’ atto di eseguire una manovra alla vela molto interessante. Jean Merrien ne parla brevemente in “Vita di bordo nel Medio Evo dai Vikinghi alle galee” (edizione italiana Mursia, 1973, pag.30) ma senza affrontare interpretazioni. Vedi anche Andrè W.Sleeswik, “The ship of Harold Goodwinson” in “The Mariner’ s Mirror”,67, febbraio 1981, pagg.87-91. Reputiamo che si tratti della riduzione in forma triangolare della vela quadra, ulteriore esempio di longevità della manovra già descritta con altro espediente. Possiamotentare una ricostruzione speculativa

in cui viene rappresentato non un effetto di prospettiva grafica ma il risultato dell’ arrotondamento dell’ angolo inferiore di dritta della vela. Non sembra una speculazione campata in aria del tutto, tanto più che sullo stesso ricamo di Bayeux si trova anche una nave in fase di manovra, che sta sciogliendo la vela ridotta triangolare per riportarla alla forma quadra (forse per essere calata in coperta).

Sarebbe comunque interessante conoscere il regime dei venti in corrispondenza della stagione in cui è avvenuto lo sbarco in Inghilterra di Guglielmo il Conquistatore, descritto nel ricamo. Ma, considerato che vi sono identificabili navi di due tipi diversi, anche se similari, potrebbe essere rappresentata in quest’ ultimo caso una manovra per sciogliere la triangolazione schematizzabile come segue

Una vela che sembra molto vicina a questi due tipi o varianti, ma a geometria fissa, appare nel bassorilievo del Duomo di Pisa, visibile sopra la porta di S. Ranieri: vi sono rappresentate due navigli di tipi ancora simile alle onerarie romane, a due alberi, che alzano una vela grande e una vela piccola, entrambe di forma triangolare e con antenna orizzontale

“L’ Europa nel Medioevo”

in “Le Civiltà” III vol.,

Vallardi 1963, pag.230

 

Nella Biblioteca Apostolica del Vaticano si conserva la “Chronica” di Giovanni Villani (1276?-1348), iniziata nel 1306, che reca una miniatura riproducente la battaglia della Meloria (1284): anche qui si osservano delle navi (ad un albero) munite di vela triangolare con antenna orizzontale

“L’ Europa nel Medioevo”

in “Le Civiltà” III vol.,

Vallardi 1963, pag. 231

Non può trattarsi si una semplice coincidenza, per cui s’ apre una nuova traccia degna di essere studiata tanto più che questa iconografia sembra indicare vele non a geometria variabile ma tagliate a triangolo. Non è tuttavia una novità giacché questo tipo di vela sembra potersi accostare a talune immagini egiziane della Vª dinastia (2500-2300 a.C.)

 

Il pennone o verga della vela  comincia ad apparire angolato come appare  negli  “Annali di Caffaro” del sec.XII , Biblioteca  Nazionale di Parigi,  posizione che favorisce l’ utilizzazione del vento dei settori prodieri

Annuali di Caffaro”, sec. XII, Parigi

 

 

 

* * *

La traccia fin qui seguita non può essere, evidentemente completa. È sicuramente suscettibile di correzioni e di più approfondite valutazioni.

Ma vuol aprire un discorso su di un argomento di archeologia navale che presenta taluni elementi di sopravvivenza ancor ai giorni nostri per cui talune risposte agli interrogativi si possono trovare nell’ umile campo della nautica etnica dei pescatori e dei piccoli cabotieri.

 

In sede di prima approssimazione si può ragionevolmente dire:

1.      la vela quadra si è prestata alle andature di bolina, con vento moderato e bassa angolazione, fin dall’ antichità classica

2.      le modifiche stabili hanno interessato dapprima non la geometria della vela ma taluni elementi dell’ attrezzatura quali la trozza (“calcesium”) o la piegatura in avanti della testa dell’ albero (Marco Bonino, mosaico ravennate di epoca bizantina)

3.      primo concreto passo verso l’ auricizzazione è stato determinato dalla riduzione temporanea della vela quadra in superficie triangolare per rispondere a determinate esigenze limitate nel tempo

4.      la superficie triangolare o romboidale permanente appare in epoche lontane ma si generalizza soltanto a partire dall’ epoca bizantina

5.      la vela latina genera in talune aree, ad esempio nell’Alto Adriatico, la vela al terzo come risultato di tendenze manifestatesi o in forma autonoma o a seguito di influenze esterne

6.      la vela al terzo, nelle varie sue forme, cede alla vela aurica in epoca recente, quando la vela è già avviata verso la fine come strumento di lavoro.

vela al terzo                        randa

 

 

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