Il nastro azzurro


La gara tra navi è stata sempre un avvenimento avvincente e significativo. Ha lasciato traccia nella letteratura antica e moderna, nei versi dell’ “Eneide” di Ovidio in una memorabile gara a forza di remi fino alla gara tra le golette da pesca dei Grandi Banchi del romanzo “Capitani coraggiosi” di Rudyard Kipling nella mirabile trasposizione cinematografica che costituisce, oggi, un autentico documento storico grazie all’impiego di golette ancora originali.
Con il potenziamento della marina velica verificatosi nel 1800 nell’America Settentrionale grazie allo sviluppo delle comunicazioni commerciali tra l’Atlantico e il Pacifico via capo Horn gli armatori usavano dare notizia delle partenze facendo presente l’eccellenza dei servizi riservati ai passeggeri segnalando inoltre con evidenza le velocità raggiunte nelle loro traversate.
sala macchine Great EasternCon lo sviluppo della navigazione a vapore l’elemento velocità divenne requisito essenziale negli attributi di esercizio, in un crescendo inarrestabile reso possibile dalla tecnologia sempre più avanzata. Accanto a questa figurazione bisogna prendere in considerazione un fatto non meno essenziale, il formarsi di un bacino marittimo ricettivo non solo in grado di rispondere positivamente alle necessità ma anzi di richiedere potenziamenti sempre più grandi.
Questo bacino è assicurato dall’Oceano Atlantico tra le coste del Nord America ad occidente e l’Europa ad oriente, tra due zone fattesi sede di grandissima potenzialità economica, industriale, produttiva, scientifica, rappresentativa in pieno sviluppo e pertanto in continuo movimento. Aggiungasi quel particolare fenomeno di masse di emigranti dall’est a all’ovest che rendevano vastissimo, senza limiti, il campo di attività.Great Eastern - National Maritime Museum London
Uno dei problemi più pressanti era costituito dallo spazio da riservare al combustibile delle caldaie, cioè dal carbone, il cui consumo aumentava continuamente. Era necessario per conseguenza aumentare la capienza dei carbonili ma non a discapito degli spazi attivi, vale a dire aumentando il tonnellaggio della nave, che veniva a farsi sempre più grande. Ma fino a quanto ciò era possibile , fino a quanto la tecnologia era in grado di prestarsi al gioco? Si prestò a dimostrarlo il celebre ingegnere Isambard K. Brunel che nel 1856 mise mano sia pure tra estenuanti difficoltà alla costruzione della prima delle grandi navi, il “Great Eastern”, di 20.500 tonnellate di stazza, un gigantismo impensabile non solo alla sua epoca ma fino agli ultimi anni del 1800. Brunel impiegò tutto quanto possibile all’epoca per far navigare la sua gigantesca creatura a velocità accettabile, due ruote di 17 metri di diametro, un’elica di 7,3 metri, con due gruppi di macchine e caldaie, 5 ciminiere, velatura completa su ben 6 alberi. Impossibile non riconoscerla a prima vista. Ma Brunel era un ingegnere insuperato e non un economista o un veggente per cui venne fin dal bel principio a trovarsi completamente in anticipo sui tempi, spiazzato davanti ad un sogno finito molto male insieme a quanti avevano creduto di poter farcela. Niente Nastro Azzurro per il gigante, che tuttavia si rivelò molto utile in altri servizi quali trasporti di massa (ma non passeggeri) e la posa di cavi telegrafici sottomarini transoceanici.

Great Eastren


L’origine del Nastro Azzurro quale segno di distinzione è oscura. Lo troviamo alzato tra i velieri della prestigiosa “corsa del tè” tra l’Estremo Oriente e Londra che vanta nel “Cutty Sark” il campione indiscusso. Non fa meraviglia che le navi delle linee del Nord Atlantico tra l’Europa e l’America abbiano inteso seguirne l’esempio.
Frank O. Braynard, uno dei più qualificati storici navali, ha raccolto nel suo volume “The Blue Riband of the Atlantic; Ships’ Profiles” (1981) l’elenco di una quarantina di navi a partire dal “Great Western” (1838), ma è solo dal 1935 che il Nastro ha acquistato il sigillo dell’ufficialità con un regolamento stilato da un comitato inglese, francese e italiano. Al quale viene aggiunto un ricco Trofeo d’argento messo in palio da sir H. Keates Hales .
Una competizione che le rivalità e le interferenze delle politiche di parte e gli intrighi plutocratici non sono riusciti ad offuscare sicché le gare del Nastro Azzurro mantengono un luminoso esempio di civiltà.

Queen Mary

Tutte le navi impegnate hanno goduto di un momento di notorietà, ma in questa sede vanno ricordate in modo particolare le più grandi della loro epoca, le più rappresentative sotto diversi punti di vista, vanto non solo della bandiera che hanno alzato ma anche delle loro società d’armamento: il “Bremen” del Norddeutscher Lloyd; l’ “Europa” nata tedesca poi passata alla Francia; il “Rex” della Società di Navigazione Italia; il “Queen Mary” della Cunard Line ; il “Normadie” della Compagnie Générale Transatlantique” detentore anche di un altro primato quello della nave da passeggeri più grande mai costruita al suo tempo; e infine l’ “United States” dell’United States Line.
Normandie
Se il “Normandie” è stato il levriero più grande, il “Rex” ha tenuto la palma dell’unità più bella per armoniosità della linea architettonica generale. Palma universalmente riconosciuta anche dai più celebri e influenti architetti navali americani ed europei. Ma la guerra di nulla ha rispetto e nel settembre del 1944 il destino arrivava sotto forma di caccia bombardieri inglesi che affondavano l’unità che, lungi da ogni forma d’impiego, stava in disarmo su di un basso fondale sotto costa aperta fuori del porto di Trieste. “Una nave più bella di questa – scrive Frank O. Baynard – non navigò mai sui mari.
"Italia" Flotte Riunite - Genova
Il “Rex” era considerato da molti come il prototipo del più moderno transatlantico dell’epoca. Esso aveva delle linee slanciate, due alberi eccezionalmente alti e due ben proporzionati fumaioli inclinati e sagomati in modo da offrire la minima resistenza. Il suo scafo era bello come stile e disegno e le sue soprastrutture, imponenti e perfette, tutte bianche, digradavano verso poppa”.
L’ora era suonata anche per il “Normandie”, in disarmo nel porto di New York dov’era stato sorpreso dallo scoppio della guerra, che veniva distrutto da un incendio in circostanze mai chiarite.
Si è salvato il solo “United States” già dell’United States Line che ha conquistato il Nastro Azzurro nel 1952 alla velocità media di 35 nodi e mezzo e che, grazie all’impegno assuntosi dal governo americano, si trova ora conservato imbattuto a Filadelfia .


United States

Ma il progresso tecnologico è inarrestabile e si può considerare detentrice del Nastro Azzurro dal 1992 la nave “Destriero”, pur non grande come i levrieri del passato, costruita dalla Fincantieri, che ha toccato i 53,1 nodi con la nuova propulsione che segna l’inizio di un’ era nuova con i traghetti celeri già in servizio che si stanno facendo sempre più numerosi.

modello del Destriero






Il Rex




viaggio inaugurale del Rex - 27 settembre 1932
Partenza da Genova per il viaggio inaugurale, 27/09/1932

l'arrivo a New York del Rex
L'arrivo a New York,  e svaporamento delle caldaie
il Rex e il Conte di Savoia a Genova
il "Rex" e il "Conte di Savoia" in porto a Genova, le due navi più
rappresentative della marina mercantile.



Sia permesso all’estensore di queste note di continuare, ora, da narratore in prima persona:
“Ricordo benissimo quell’8 settembre del 1944, una quieta giornata di sole di fine estate a finestre spalancate. Verso le ore 11 si facevano sentire le sirene dell’allarme aereo, cosa non rara, ma seguita quella volta dal rumore inconfondibile di aerei in avvicinamento.
“Compresi immediatamente: il “Rex”, cercavano il “Rex” che da qualche giorno era stato portato a rimorchio fuori dal porto di Trieste ed ancorato sul basso fondale del Giro delle Carrozze verso Isola! Uno o due giorni prima avevo fatto con il piccolo Dingy a vela dell’amico Giovanni Marcolini il giro attorno alla gran mole incombente dello scafo passando a poppavia di destra vicino ad una porta aperta, apparentemente incustodita, servente forse a qualche guardiano.
“Mi precipitai sullo spalto alberato del Belvedere con vista aperta su tutto il Vallone: dopo una prima passata gli aerei se n’erano già andati e il “Rex” sembrava intatto, solo dalla prua si alzava del fumo bianco che la brezza disperdeva. Una fotografia scattata da uno degli aerei della formazione, poi disponibile, mostrava chiaramente come una ventina di colpi, corti, erano finiti in mare. Ma arrivava presto un secondo attacco che questa volta era fatale. Il “Rex”, in fiamme, sbandava e andava a toccare il basso fondale girandosi sulla fiancata di sinistra  che andava in parte sott’acqua, mentre dense volute di fumo dilagavano dal ponte di comando fin quasi a poppa. Colpo fortunato, se si può dire, del noto fotografo Libero Pizzarello.

Così rimaneva come un enorme cetaceo morto, rigato da striature di colore rappreso e di un metallo, che sembrava stagno, colato dall’alto. Poco prima del tramonto si verificava un grande scompiglio tra le barche che circondavano il relitto provocato dal falso allarme di nuovi aerei (o c’erano stati veramente ma solo per verifica?). Gli aggressori hanno affermato poi di avere messo a segno 123 colpi.
“Il giorno dopo nuova visita con l’amico Giovanni Marcolini e il suo Dingy attorno al relitto. La carena scoperta fino alle alette di rollio e ancora calda appariva curiosamente seminata di mitili ormai cotti e aperti. La catena dell’ancora di destra appariva praticabile come una scaletta per cui decidemmo sul momento di salire e di passare attraverso il tunnel della cubia per dare un’occhiata. Quale spettacolo! E come muoversi? Seguendo la fila dei candelieri di destra si poteva arrivare fin sotto il ponte di comando che da orizzontale appariva ora girato quasi completamente sulla verticale. Ci arrivammo alzandoci finalmente in piedi sulla fiancata trasformata in una grande passerella, per cui fu facile l’escursione fin quasi sulla poppa. Potemmo così farci un’idea, guardando attraverso le numerose aperture e finestrate, di come i razzi avevano ridotti gli interni che comunque erano stati vuotati prima del disarmo, ponte di comando e timoneria compresa. Un’alternanza di zone distrutte e di zone ancora intatte, lampadine e vetri compresi, a seconda dei punti di impatto. Le strutture si perdevano nell’acqua che il sole, penetrando dal di fuori, illuminava a chiazze accendendo verdi riflessi come nelle grotte sottomarine, tra rottami di legno che flottavano qua e là.
il Rex disegnato dal vivo il 26 marzo 1946
“Può immaginare il lettore quanto interesse abbia sollevato la fine del “Rex” tra i non pochi cultori di storia e cronaca locale e quanto si è cercato di documentazione anche anglosassone in un’epoca come la nostra che dispone di mezzi e strumentazione generalizzata. Ma inutilmente, fino a non molto tempo fa quando, nell’aprile del 1997, arrivava dalla California una lettera spedita dai cugini Budica, ivi esodati nel dopoguerra, che informavano di aver veduto con grande sorpresa, a metà marzo, nel corso di un documentario televisivo, uno spezzone di pellicola che riportava chiaramente l’attacco al “Rex”compreso uno scorcio del porto di Capodistria. Si trattava di cacciabombardieri bimotori  Blenheim Bristol con piloti australiani, ormai anziani, che si erano prestati ad una breve intervista. Si riaccendeva la speranza di avere finalmente la desiderata pellicola, ma fu vana ogni possibilità venendosi a sapere solamente che era stata prodotta ed edita dalla B.B.C. di Londra su documentazione di proprietà dell’ Imperial War Museum di Londra. Un’impresa per la quale non c’è da menare alcun vanto!”
Successivamente, detta pellicola ripresa dalla Royal Air Force è stata resa disponibile, e nel numero 159 de "La Sveglia" (settembre 2005) sono state pubblicati alcuni fotogrammi (vedi qui) che pur sgranati e sfocati rappresentano comunque un documento eccezionale.
Semedella 1946
L'Inquietante visione  del grandissimo relitto. Il fastigio della prua che si presta all'esibizione e ai giochi dei bagnanti.
 
Maurizio Eliseo: il Rex




Cosa rimane oggi nella memoria di un fatto entrato con pieno diritto nella Storia della marineria? Non molto. Una commossa rievocazione in un articolo dello scrittore e romanziere Pier Antonio Quarantotti Gambini col titolo “Il Rex morente sotto casa mia” (Giornale di Trieste, 6 settembre 1949), “Amacord” (1974) opera cinematografica metafora di Federco Fellini, “Il romanzo del Rex” (Sperling & Kupfer Editori, 2004 ) storia romanzata di Ulderico Munzi,  il volume di grande formato “Rex - Regis Nomen, Navis Omen - Storia di un transatlantico
(Ermanno Albertelli, 1992) di Maurizio Eliseo che rimane insuperato. Non mancano inoltre presenze o richiami del “Rex” nelle mostre, manifestazioni e incontri di carattere marinaro, che non sono frequenti. Vedi la grande mostra di Genova del 2004
Aldo Cherini




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