La bragagna-Da modellino del Civico Museo Didattico di Milano


La bragagna




Chiedersi se la pesca, intendiamo quella di mestiere, sia un’attività tecnica o un’arte, significa porsi una domanda che ammette più risposte. Indubbiamente la pesca nasce come arte evolvendosi prima o poi in attività sempre più tecniche per finire al giorno d’oggi oscurata dall’invasione elettronica che sta condizionando sempre di più ogni attività umana. In ogni caso, ieri come oggi, resta inalterato il concetto determinante della resa economica: positivo come fattore per mantenere in vita ogni attività, pesca compresa; negativo per causarne la cessazione.

Quanto sopra si attaglia perfettamente ad un certo tipo di barca, la bragagna, nata nella laguna veneta da matrice chioggiotta e attiva esclusivamente nel tratto corrente tra Chioggia e Venezia fino verso la fine del 1800 e scomparsa completamente senza lasciare alcun relitto o altra traccia. Tanto da essere dimenticata da gran parte dei pescatori mentre pochi altri adottarono barche di tipo comune conservando però il nome della rete, cioè bragagna, ingenerando con ciò alquanta confusione.

Nella seconda metà del 1900 si notava un felice risveglio nell’ambito di un gruppo di studiosi e di interessati della ricca battelleria valliva veneta, esempio seguito da studiosi delle sponde adriatiche centrali e meridionali con esiti molto interessanti, quali il noto Museo Galleggiante di Cesenatico, con l’attenzione portata anche su testi e memorie fino allora trascurate col seguito di più d’una impegnativa pubblicazione sostenuta da note case editrici. Da notare in modo particolare gli incontri anche a livello nazionale e internazionale ai quali ha partecipato noti studiosi esteri che hanno avuto luogo a Grado, Caorle, Chioggia, Bellaria nonché in Grecia ad Atene, indice questo di un interessamento significativo esteso anche alle barche della penisola balcanica.

Momento buono per rivedere con nuovo interesse qualche modello o parti staccate di modelli sul momento non riconoscibili, conservati dai musei storici navali di Milano e di Venezia, dal Museo di Storia Naturale pure di Venezia. Aggiungansi i preziosi manoscritti della Biblioteca Comunale di Chioggia e il nutrito gruppo di carte, qui portato in luce nel 1978, che arrivano finalmente a portare ordine in materia insieme alle tavole pittoriche di Angelo Marella e di Aristide Naccari, datate 1877.

 

Vistosa inequivocabilmente la struttura della bragagna, essendo il nome della rete passato anche alla barca.

Innanzi tutto i tre alberi ciascuno con una ampia vela che poco aveva da spartire con la vela al terzo delle altre barche in quanto tendeva al rettangolare. Velatura spropositata con una sua funzione del tutto particolare. Riportiamo integralmente a questo proposito quanto pubblicato dal periodico “La voce di Chioggia” (23 settembre 1983) con la firma di Mario Marzari, uno dei primi ad interessarsene occupato.

“Le tre vele venivano impiegate contemporaneamente per pescare e servivano solo per muoversi lateralmente. Per gli spostamenti in laguna e per la navigazione veniva usata solo la vela di poppa in quanto altrimenti il lungo timone a “calumo” non era in grado di bilanciare il centro velico, che risultava molto spostato verso prua e piuttosto alto rispetto al galleggiamento”.

“Quando la “bragagna” con tutte le vele spiegate si spostava lateralmente sotto la spinta del vento, veniva bilanciata oltreché da dalla stessa rete, dal seciòn ossia una robusta mastella colma d’acqua, posta fuori bordo dalla parte del vento mediante un lungo palo fungendo così da contrappeso”

“Quando si era in bonassa trènca allora i pescatori ricorrevano al molinèlo, fissavano un lungo palo detto pertega sul fondo lagunare e ad esso assicuravano la cima del cavo del molinèlo, quindi con la bragagna (barca) si allontanavano per quanto consentiva la lunghezza del cavo. Veniva poi gettata la rete da pesca, tenuta ben distesa dagli sponteri (pertiche), quindi si iniziava la pesca riavvolgendo il cavo mediante il molinèlo che altro non era che un argano azionato dai pescatori mediante barre. In tal modo la bragagna si muoveva di traverso tirandosi dietro la rete aperta sino a che si raggiungeva il palo precedentemente piantato.”

 

 

Anche lo scafo seguiva sue proprie regole discostandosi nei rapporti intercorrenti tra lunghezza, larghezza e altezza dagli standard della battelleria lagunare. Generalmente lungo 13 metri con rapporto lunghezza / larghezza pari a 6 / 1, quindi lungo e stretto, poco marino, dote non necessaria.

La lunghezza dello scafo risponde in qualche modo alla lunghezza della rete la cui bocca viene tenuta aperta con spontieri laterali, bastoni divaricatori, con la parte inferiore centralmente appesantita con circa 50 kg di piombi, strisciante sul bassofondo, con due braccia laterali allargate e terminanti in tre cògoli.

Venivano pescati tra i mesi di aprile e ottobre i bisati (anguille), i (guati o ghiozzi) e sepoline (piccole seppie dette anche sòtoli), pesce di alto consumo popolare. Ma i tempi cambiavano e si arrivava com’è noto alla motorizzazione anche marittima e sue conseguenze. Cosa impensabile per la bragagna che, relegata ad attività esclusivamente valliva, veniva abbandonata non assicurando più sufficienti introiti per mantenere una famiglia.

Bragagna-da modello del Museo Storico della Navigazione - Venezia


È così che si è arrivati a porre in luce la bragagna ,un impensabile tipo di peschereccio tanto originale da venire considerato quasi un intruso mentre trattavasi di una barca nata come un “attrezzo da pesca” senza uguali per operare su di un posto particolare. Una vera e propria arte.


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A.C.