Aldo Cherini
LA POTENZA NAVALE AUSTRIACA
E
LA PIAZZAFORTE DI POLA
Lo stato formatosi intorno al centro imperiale di Vienna, assurto a potenza territoriale di primo piano nel cuore dell’Europa, veniva a trovarsi coinvolto nel 1700 in problemi e fatti propri delle potenze marittime per cui fu giocoforza prestare attenzione anche a quanto avveniva lungo la frontiera adriatica e dalmata con la conseguenza di portare l’Austria ad occupare un posto cospicuo anche sul mare.
La marina mercantile, le attività cantieristiche e l’indotto industriale crescevano tanto da costituire una delle parti portanti dello stato del quale la marina militare era chiamata a costituirsi garante sulla base di un concetto teorico molto diffuso in quell’epoca. Cosa generalmente non bene intesa neanche dall'imperatore Francesco Giuseppe, ma la sezione di Marina di del Ministero della Guerra, grazie all’appoggio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono, era di ben altro avviso.
Le prime avvisaglie si erano avute all’epoca della guerra di successione di Spagna (1700 - 1713) con la morte di Carlo II l’ultimo degli Asburgo spagnoli, a seguito di una mossa azzardata di Luigi XIV re di Francia con la conseguenza di una guerra con azioni militari in Lombardia dove combattevano anche gli Austriaci che, a fronte della dichiarazione di neutralità della Repubblica Veneta, dipendevano per i rifornimenti da un intenso traffico via mare da Trieste, Istria, Fiume città e fiume Po. I Francesi avevano reagito contrapponendo la guerra di corsa al comando del noto corsaro Claude de Forbin, che bombardava la città di Trieste con proiettili incendiari costringendo gli abitanti a rifugiarsi sulle retrostanti colline, signoreggiando l' Adriatico con l'affondamento di una cinquantina di bastimenti e con un blocco pressoché totale del traffico. La guerra da corsa non costituiva una novità essendo sempre esistita anche in tempi di pace.
Peggio ancora si presentava la situazione all’epoca delle guerre napoleoniche (1797 - 1813) e del blocco navale dichiarato dall’Inghilterra.
Lo storico celebre arsenale di Venezia riprendeva l’attività in mano francese e l’Adriatico diventava convulso centro di operazione di numerosi corsari sia di bandiera francese che inglese, che avevano la loro base ad Ancona e rispettivamente a Lissa, provocando con scontri a non finire, crociere di navi battenti bandiera spagnola, portoghese, turca e russa con rilevanti conseguenze d’ordine anche sanitario. Vienna cercava di venirne fuori in qualche modo e la così detta “Triestiner Marine”, la Marina Triestina, che l’imperatore Giuseppe II aveva rianimato nel 1786 veniva rinforzata passando in armamento navi mercantili. Proliferava nel contempo la costruzione delle barche cannoniere, a remi e a vela, armate con un cannone prodiero, utili nella difesa costiera con equipaggi locali, delle quali si conservano disegni tecnici coevi presso la Biblioteca Civica di Trieste.
Con la pace di Campoformio del 1797 Vienna veniva in possesso dei territori costieri istriani e dalmati, e di non poche navi militari già della Repubblica Veneta, fatto sufficiente ad elevare l’Austria a potenza primaria in Adriatico. Si diffondeva la bandiera rosso-bianco-rossa alzata per la prima volta nel 1786. Ruolo confermato nella seconda coalizione antinapoleonica (1799 - 1801) quando l’armata di mare prendeva il nome di Marina Austro-Veneziana ma per poco tempo in quanto la sconfitta subita nel 1805 imponeva a gran parte delle navi il passaggio sotto la bandiera della neocostituita Marina napoleonica del Regno d’Italia. Poco rimaneva all’Austria che, trovandosi nel 1809 senza sbocchi sul mare, cessava di esistere come stato marinaro, ma per poco tempo perché il 1814 segnava la caduta di Napoleone.
Il congresso di Vienna riportava in auge l’impero austriaco che però non intese rimettere in piedi la flotta militare pur avendo ricevuto a titolo di indennizzo numerose navi che venivano tenute in disarmo rimandando la ricostituzione dell’armata di mare a tempi migliori. Le costruzioni venivano riprese dopo il 1820 grazie all’appoggio del giovane arciduca Friedrich, con unità tenute stazionarie in Dalmazia o in crociere contro la pirateria o in viaggi all’estero per mostrare la bandiera. Nel contempo si affermavano interessanti applicazioni tecnologiche quali la macchina a vapore con la propulsione a ruote, l’elica, strumenti scientifici, il progresso siderurgico con esiti dei quali nessuno poteva più fare a meno. Anche l’Austria, venuta in possesso di una frontiera marittima comprendente tutte le coste orientali dell’Adriatico, doveva tenerne conto.
La rivoluzione del 1848 e la sollevazione di Venezia provocavano decisivi mutamenti nel quadro. La metà circa della flotta con equipaggi tra i quali prevalevano gli italiani passava dalla parte dei rivoltosi e gli Austriaci dovevano ritirarsi sulla terraferma cingendo Venezia con un assedio esteso anche sul mare mediante un blocco marittimo tenuto da navi equipaggiate con marinai di lingua prevalentemente tedesca. Il momento si presentava delicato specialmente quando compariva davanti a Trieste la flotta sarda che si ancorava fuori della portata delle batterie costiere provocando un inutile fuoco da terra e un vivo allarme pur non procedendo ad azioni di forza salvo qualche incidente che nessuno aveva interesse a strumentalizzare, senza disturbare il commercio né molestare il traffico marittimo, col solo scopo di provocare la sommossa della città, che non avveniva.
Ma è con lo scontro austro danese avvenuto nel 1864 presso Helgoland e più ancora con lo scontro di Lissa del 1866 contro gli Italiani che la marina militare imperiale si faceva conoscere ed acquistava popolarità grazie alla figura carismatica dell’ammiraglio Tegetthoff, anche se nello stesso tempo l’Austria perdeva il Veneto e con esso l’Arsenale di Venezia che, però, non rispondeva più alle nuove necessità. Fatto notorio tant’è vero che da tempo la marina stava prendendo in esame le varie possibilità sostitutive della base. La scelta cadeva sull’antica città di Pola come la più idonea ad un radicale adattamento, dove anzi esistevano interventi già realizzati a partire dal 1855. La flotta si ingrandiva con unità particolarmente progettate come le grandi e caratteristiche navi a casamatta.
Non si partiva cioè da zero. La pianificazione contemplava diversi settori, in primo luogo una catena di fortificazioni che andavano da Trieste a Cattaro comprendente 16 stazioni di segnalazione divisa in 3 circuiti che facevano capo a Pola garantendo un servizio che era basilare in un’epoca in cui esisteva soltanto la rilevazione ottica.
La difesa costiera attiva rispondeva nel 1914 all’usuale standard internazionale ma la realizzazione frazionata in più periodi comportava la necessità di modernizzazioni che il più delle volte erano state rimandate a seguito degli alti costi giungendo così al 1906 quando non fu più possibile rimandare i lavori a tempi migliori, essendo evidente anche il fatto che lo scudo delle numerose isole, isolotti e scogli prospicienti la costa dalmata aveva perduto ogni valore.
Il circuito della città di Pola presentava un raggio utile di 5 chilometri con opere murarie numerose ma non omogenee, causa questa di aperte critiche in seno allo stesso ambiente militare. divise in due cinte, una interna con 5 forti ed una esterna con 8 forti, mentre la zona di Fasana ne aveva altri 8.
Nella primavera del 1914 si dava mano alla modernizzazione e al riarmo delle opere obsolete completando la cinta esterna con 50 batterie e 194 cannoni. Ma la difesa del lato mare presentava ancora una congerie di 120 cannoni e di mortai di vari calibri, cosa divenuta ormai inconcepibile.
Nulla mancava tra caserme, magazzini, depositi, istituti tecnici (antropometrico, idrografico, specola astronomica, balipedio, stazione radio “ultrapotente”), ospedale, tribunale, carcere, cimitero. Notabile sopra tutto il grande arsenale isolato sullo Scoglio Ulivi, con bacini di carenaggio galleggianti e in muratura, grandi officine coperte, laboratori, centro direzionale con documentazioni archivistiche e con una serie di modelli navali pregevoli di storico interesse (attualmente ne esistono due, conservati in bacheca, presso l’Adriaco Yacht Club di Trieste) .
Il porto militare principale contava scorte e supplementi per 7 mesi per una guarnigione complessiva di 18.000 militari e marinai di varie nazionalità , tedesca, ungherese, polacca, céca, slovacca, croata, bosniaca, slovena, italiana. Si sentivano parlare tutte le lingue.
Il punto più debole era il collegamento ferroviario con l’esterno conseguenza forse del fatto che la rete ferroviaria cadeva sotto il controllo dell’esercito e non della marina.
Molta importanza assumeva il canale di Fasana che si doveva proteggere ad ogni costo.
Singolare il fatto che quasi tutte le batterie portavano nomi italiani: Gruppo Barbarigo, forte Forno, batterie Benedetto e Caluzzi. A Brioni Minore troviamo il forte Minore e la batteria San Nicolò. L’ingresso meridionale del canale di Fasana era guardato dai forti Peneda e Cavarollo, dalla batteria Naviglio. A Brioni Maggiore il forte portava il nome di Tegetthoff. Esistevano inoltre 10 batterie mobili, spostabili a seconda dei bisogni.
Allo scoppio della grande guerra il mare antistante veniva chiuso prontamente alla navigazione con un vasto campo minato difensivo steso a semicerchio con solo tre passaggi verso il porto di Pola e il canale di Fasana. Stesura prevista da tempo, ma imprevisto il gravissimo incidente accaduto proprio all'inizi delle ostilità, nell’agosto 1914, che aveva sorpreso e vivamente allarmato la gente che veniva a trovarsi fuori residenza. Così i villeggianti e i viaggiatori della Dalmazia che si affrettarono a tornare a casa con uno o l’altro dei piroscafi costieri con capolinea a Trieste. Il “Baron Gautsch” del Lloyd Austriaco, uno di questi, era partito da Cattaro il 12 agosto con a bordo anche un numero imprecisato di richiamati dell’esercito. Giunto nelle acque istriane il giorno dopo il piroscafo, secondo le istruzioni ricevute verbalmente, aveva saltato la toccata di Pola proprio in ragione del campo minato ma, forse per non essersi tenuto più al largo, urtava una delle mine affondando in pochi minuti e provocando la morte di un numero impressionante di imbarcati.
Confusa la situazione sociale, culturale e politica della città di Pola in questo tempo. La popolazione autoctona era compattamente italiana di ceppo, formazione, sentimento, cultura e tale si manteneva nonostante la potente marina militare che voleva imporre la sua presenza, con un Arsenale che manteneva 4.600 lavoratori servendosene all’occorrenza come serbatoio o massa di manovra, con l’appoggio dell’elemento slavo che cercava in tutte le maniere di scalzare gli italiani.
Molta gente era sfollata e la situazione finiva per aggravarsi a causa della carenza dei viveri fattasi presto sentire tra la popolazione civile ma anche tra i militari e per lo scoppio dell’epidemia di grippe che colpiva duramente un po‘ tutti anche al di qua e al di là delle prime contrapposte linee mietendo molte vittime.
Appariva sempre più evidente il fatto che si stava perdendo la guerra. Circolavano le notizie più contraddittorie e inverosimili , come quella di 1000 aeroplani italiani destinati a bombardare le città. Ridotta alla fame, la gente tentava di sottrarre le patate trasportate anche dai carri militari. Il Casinò di Marina veniva circondato da una folla di scalmanati che venivano allontanati dall’arrivo dei marinai della scuola dei macchinisti. E la flotta ? Era destinato, si diceva, che sarebbe passata alla Spagna la quale durante la guerra curava in sede internazionale gli interessi dell’Austria-Ungheria.
Il 4 ottobre i Tedeschi chiedevano al presidente americano Wilson di prestarsi per la fine delle ostilità, seguiti dai Bulgari e dai Turchi. I sommergibili di Pola e di Cattaro che potevano muovere lasciavano gli ormeggi per rientrare in patria mentre gli altri venivano minati e affondati fuori dei frangiflutti. Si bruciava quanto non poteva venire asportato.
Le navi e i forti cadevano in mano ad improvvisati comitati di marinai e alzavano la bandiera slava, quella di uno stato ancora inesistente. L'ammiraglio Horthy comandante in capo, esautorato dopo un inutile tentativo di richiamo all’ordine, lasciava il comando e sbarcava dalla nave ammiraglia “Viribus Unitis” con un motoscafo preso a prestito. Gli subentrava un oscuro ufficiale croato nominato per l’occasione contrammiraglio.
I militari delle varie nazionalità cercavano di organizzarsi per poter tornare alle loro case, ma i mezzi ferroviari oltre che scarseggiare erano inadeguati.
Il 29 ottobre 1918 , alle ore 6 del mattino, il capitano di stato maggiore dell’esercito austro-ungarico Camillo Ruggera passava in qualità di parlamentare il terrapieno della ferrovia che segnava la linea italiana del fuoco ed entrava nel comando della 20.a divisione per dare inizio alle trattative d’armistizio con la commissione che attendeva il via libera a Trento e che veniva accolta nella villa del senatore Giusti del Giardino messa a disposizione a richiesta dell’amico generale Zupelli, in quel tempo ministro della guerra e, vedi caso, capodistriano concittadino di Nazario Sauro.
L’imperatore Carlo I° tentava di salvare la monarchia magari in forma federale e, ricevuto un rifiuto da parte degli Ungheresi disponeva con propria iniziativa la consegna della flotta ai Croati, che non aspettavano altro creando sulla carta una struttura con un ministero, un comando superiore della flotta e dei forti .
Intanto il 3 novembre veniva sottoscritto il protocollo dell’armistizio con l’Italia, la clausola navale del quale stabiliva che ciascuna nave dovesse indicare via radio, tramite la stazione ultrapotente di Pola, le coordinate della propria posizione.
Il che non avveniva a seguito dell’ingarbugliarsi della situazione causata anche dal presidente americano Wilson che intendeva imporre i suoi punti di vista, tanto che gli slavi chiedevano la sua protezione, mentre a Parigi operava un consiglio superiore di guerra geloso delle proprie prerogative. Si formava in Adriatico una commissione internazionale di ammiragli , più propensi a curare i propri interessi, che a stento tolleravano il membro italiano.
Nel chiuso dell’ arsenale di Venezia, intanto , c’era chi lavorava riservatamente intorno a qualche cosa chiamata “mignatta” che potremmo definire il prototipo del SLC (siluro a lenta corsa o “maiale”) che due spericolati operatori, il capitano del Genio Navale Raffaele Rossetti e il capitano medico Raffaele Paolucci (!) sperimentavano di notte nel Canal Grande di Venezia, senza farsi notare da nessuno, studiando i movimenti silenziosi preparatorii per un ingresso nel porto militare di Pola, dove stavano alla loro boa le grandi corazzate “Tegetthoff”, “Prinz Eugen” e l’ammiraglia “Viribus Unitis” (assente la “Szent Istvan” perché affondata nelle acque di Premuda). Durante la guerra quelle grandi e costosissime unità erano state impiegate solo due volte, la prima nello stesso 24 maggio 1915 in un’azione di bombardamento costiero e la seconda verso la fine del conflitto costata la perdita della “Szent Istvan”. Ottenuto il nulla osta per l’operazione, il mezzo d’assalto lasciava l’Arsenale di Venezia alle ore 18,30 a rimorchio del MAS 95, che lo portava fino alle ostruzioni del porto di Pola. I due operatori passavano le ostruzioni la notte del 1 novembre 1918 e alle ore 5 giungevano inosservati a lentissimo moto a ridosso dell’ammiraglia minandola e dando l’allarme per evitare inutili perdite di uomini. Catturati e issati a bordo si trovarono davanti ad un equipaggio incredulo in quanto non s’era verificata alcuna esplosione sicché cominciavano a tornate a bordo, di quale umore si può ben immaginare, quelli che s’erano allontanati. Ma la carica scoppiava effettivamente alle ore 6,20 provocando l’affondamento dell’unità e quei morti che i due operatori italiani avevano cercato di evitare, compreso il nuovo comandante voluto dall’equipaggio qualche giorno prima. La stazione radio della Torre Eiffel di Parigi dava notizia dell’evento e sollecitava le navi già austro- ungariche ad alzare la bandiera bianca e concentrarsi nella base francese di Corfù, cosa che nessuna di esse era in grado di fare anche se l’avesse voluto. Era così riuscita un’impresa straordinaria inutilmente tentata alcuni mesi prima con il barchino “Grillo”, un galleggiante armato con due siluri e munito di catene rotanti con arpioni per superare le catene che chiudevano l’ingresso del porto. Il relitto rimaneva sommerso completamente sul posto a circa 30 metri di profondità, rovesciato, ispezionato poi nel novembre del 1919 dal capitano del Genio Navale Armando Andri . Andava affondato in quell’occasione anche il grande piroscafo da passeggeri del Lloyd Austriaco “Wien” quando la carica di autodistruzione della “mignatta”, abbandonata, andava a scoppiare a contatto dello scafo del piroscafo ormeggiato poco lontano. Lo straordinario evento, data l’ora mattutina e il tempo piovoso, non ebbe testimoni a terra se non un solo fotografo occasionale che scattò una fotografia poco chiara per le cattive condizioni di luce che fu giocoforza ritoccare non poco per renderla pubblicabile.
Alle ore 15 del 4 novembre 1918 entrava in vigore l’armistizio.
L’amm. Cagni entrava nel porto di Pola con la nave “Saint Bon” ricevuto alla banchina dell’Arsenale dalla torpediniera del comandante Foschini che era il primo italiano ad entrare nella città. Un contingente di marcia di due battaglioni formato da fanti, marinai e carabinieri era sbarcato a Fasana, ricevuto da gente festante, e proseguiva per Pola per una strada di 8 chilometri, percorribile in due ore, ma trovata dissesta tanto da creare difficoltà impreviste sicché la colonna giungeva alla periferia della città dopo le ore 17. Gli Italiani venivano accolti con grande calore, a suon di banda di un reparto cècoslovacco, salutati a bandiere spiegate come liberatori da uno stato di torbido disordine fomentato dai sovvertitori e da agitatori infiltrati. Non mancavano, di giorno, rumorose manifestazioni anche a suon di banda, ma di notte si sentivano in diversi punti le fucilate.
Le forze italiane erano scarse ma a migliorare la situazione giungeva in porto la divisione degli incrociatori corazzati “Pisa”, “San Marco” e “San Giorgio”.
Non si presentava agevole risolvere in breve la questione dell’assegnazione delle navi di bandiera austro-ungarica alle nazioni vincitrici della guerra a titolo di risarcimento delle perdite subite durante le ostilità ma le navi mercantili potevano continuare a navigare alzando una bandiera bianca con una fascia verde.
Il 10 settembre 1919, con la firma del trattato di pace a Saint Germain en Lage, si stabiliva di ordinare le navi in tre categorie: le navi da passare all’Italia e alla Francia; le navi da demolire ma destinate a rimanere in servizio per 12 mesi da impiegare in funzione propagandistica; tutte le altre navi da demolire entro un anno dalla firma dei trattati. Dovevano venire demoliti, e subito, tutti i sommergibili.
Le unità già austro-ungariche venivano concentrate fianco a fianco nel porto militare ma tutto lo specchio d’acqua del porto di Pola appariva affollato quanto mai s’era visto.
Nel febbraio del 1920 avveniva finalmente la spartizione dell’ex i. r. flotta: andavano alla Gran Bretagna, la più danneggiata dalla guerra, 16 navi di diversi tonnellaggi, e 20 torpediniere; alla Francia e all’Italia 14 navi più 20 torpediniere; il regno HSH doveva accontentarsi di poche navi minori, alcune torpediniere e unità ausiliarie. La Gran Bretagna manifestava disinteresse e rinunciava.
Il piano di occupazione, stante la situazione non prevista, veniva seguito attentamente dall’amm. Cagni, che non tardava ad intervenire energicamente quando i Croati, gli eroi dell’ultimo minuto che si dichiaravano alleati, cercavano di far valere il dono della flotta fatto dall’ex imperatore Carlo, ma inutilmente per cui finivano per desistere e finalmente sui forti, caserme e impianti varii non si vide altra bandiera che quella italiana frutto di pazienti interventi dissuasivi posto per posto.
In sede di prima riorganizzazione della piazza il comandante della R.N.”Pisa” riceveva l’incarico di funzionario distrettuale per gli affari civili, il comandante della R.N.”San Marco” assumeva il servizio viveri e consumi, il comandante della R.N.”San Giorgio” veniva posto al comando dei forti e delle polveriere.
L’8 novembre venivano a scadere le 96 ore previste dalle clausole d’armistizio per la consegna delle navi che, dopo un ultimo tentativo croato di far valere il loro inesistente diritto su di esse, alzavano la bandiera tricolore.
Erano così portate a termine, con paziente fermezza, le operazioni previste dal piano di occupazione ma l’interno delle navi appariva desolante, mal ridotto e saccheggiato specialmente nei depositi di viveri e di vestiario.
La marina militare dell'Impero austriaco e austro-ungarico cessava di battere il mare ma ha lasciato un segno storico indelebile perché non è stata affatto una seconda linea delle forze imperiali ma uno strumento marino efficiente e all'altezza, con una propria ragione di esistere e con realizzazioni, quali le quattro grandi unità della classe “Tegetthoff” che nulla avevano da invidiare rispetto ai pari tipi europei delle altre nazioni marinare. Né va dimenticato che il siluro, la pericolosa e temuta arma marina, è nato a Fiume e che la prima unità, sia pure piccola, armata con un tubo lanciasiluri è stata la i. r. cannoniera “Gemse”.
Con Regio Decreto Legge del 18 gennaio 1923 veniva costituita la Provincia dell’Istria con qualche modifica territoriale rispetto al vecchio margraviato austriaco (staccati il comune di Muggia e la costa del Quarnero) ma con Pola capoluogo di provincia.
Quanto alla piazzaforte e alla base navale, mutate le esigenze e gli indirizzi di politica marinara, l’Arsenale veniva ceduto all’industria privata col nome di Cantiere Scoglio Olivi, che entrerà poi nel gruppo dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico (CRDA). Si trattava di uno stabilimento pervenuto illeso con tutti i reparti ed i servizi, macchine utensili, officine, centrale elettrica, depositi, potenti gru, bacini di carenaggio galleggianti e in muratura che ne avevano fatto uno dei più importanti dell'epoca.
La funzione militare non cessava ma assumevano prevalenza le scuole e i centri di addestramento, il CREMM-Corpo Reale Equipaggi Militari Marittimi, la sede del Reggimento San Marco, la scuola sommergibilisti, la scuola nautica della Guardia di Finanza, un gruppo di idrovolanti e poi anche il reparto con una nave in funzione di bersaglio semovente per le esercitazioni degli aerosiluranti di Gorizia.
Nel complesso un’attività rimarcabile, che non è stata priva di incidenti e fatti luttuosi quali l’affondamento nel corso di una esercitazione nelle acque di Fasana del sommergibile “F 14” con la perdita totale dell’equipaggio, e l’affondamento per urto conto mina dell’esploratore “Cesare Rossarol”.
La seconda guerra mondiale portava al totale sovvertimento prima con l’occupazione tedesca (settembre 1943 – aprile 1945) poi con l’occupazione anglo americana (fino al 1947) quando le potenze vincitrici della guerra stabilivano la consegna di Pola ai Croati che venivano a lucrare così il possesso delle sponde dell’Adriatico a lungo sognato.
Pola rispondeva con l’esodo.
L’abbandono della città e del suo territorio da parte di quasi tutta la popolazione si è svolto in un momento che può considerarsi prematuro ma che è stato determinato da una situazione internazionale assai confusa e non priva di aspetti minacciosi, quali l’eccidio di Vergarola del 17 agosto 1946 quando una mano ignota fece saltare una catasta di mine disattivate ma negligentemente sorvegliate.
Nel mese di dicembre del 1946 il problema si poneva in termini di urgenza e ciò ha influito negativamente sull’organizzazione delle operazioni provocando disagi altrimenti meno gravi. Operazioni che hanno avuto inizio in pieno inverno apparendo imminente l’entrata in vigore del trattato di pace che prevedeva la perdita del territorio assegnato con un tratto di penna alla Jugoslavia alla quale la popolazione non voleva sottostare per vari motivi (vedi il caso di Vergarolla dove veniva fatto saltare un deposito di munizioni ed esplosivi rastrellati nella zona provocando una strage), con anticipato ritiro delle truppe anglo-americane di presidio, fatto che ha provocato la morte del generale inglese comandante la piazzaforte a seguito del colpo di pistola sparato dalla giovane Maria Pasquinelli per disperata protesta.
L’esodo appariva possibile soltanto per via di mare ma il reperimento del naviglio occorrente costituiva un problema non facile a risolversi dato che la guerra aveva decimato la flotta mercantile mentre la ripresa, finite le ostilità, imponeva l'utilizzo senza remore di quanto rimaneva.
Nel luglio del 1946 si costituiva in seno al CNL – Comitato di Liberazione Nazionale di Pola il Comitato di Assistenza per l’Esodo che si metteva senza indugio alla ricerca dei mezzi nautici per il trasporto valutato in 27000 – 28000 persone, 7500 famiglie, e 180.000 metri cubi di masserizie, ma malgrado la buona volontà degli armatori privati il numero dei natanti disponibile rimaneva inadeguato.
Il governo italiano, resosi finalmente conto dell’effettiva portata della situazione che aveva sottovalutato, mandava in missione a Pola il gen. Mannerini con l‘incarico di provvedere all’organizzazione tecnica dello sgombero. Venivano dirottati a Pola il vecchio piroscafo “Toscana” per i passeggeri e il “Montecucco” per il carico, ma per un periodo dichiaratamente breve.
Il 15 gennaio 1947 partiva un primo piccolo trasporto che evacuava in 5-6 giorni 60 appartamenti. Seguivano viaggi con toccate a Trieste, Venezia, Ancona , Brindisi, Taranto, Sicilia, Sardegna. Il 19 aprile il “Toscana” faceva il suo decimo e ultimo viaggio avendo trasportato nel complesso 16.800 profughi. Venivano impiegate anche le piccole motonavi costiere della S.N. “Istria Trieste “ e il “Messina” delle Ferrovie dello Stato. Encomiabile l’aiuto prestato dai trabaccoli, i piccoli cabotieri onnipresenti. Con il mese di marzo rimaneva la sola motonave “Pola” per le occorrenze del Governo Militare Alleato e per lo sgombero del personale non indispensabile.
Il 15 settembre 1947 avveniva la consegna della città agli slavi del Sud seguita rapidamente dall’ imbarco del personale anglo-americano: alle ore 0,30 del 16 settembre la motonave “Pola” abbandonava la città della quale, ironia delle sorte, portava il nome con il saluto dell'ultimo colpo di sirena la cui eco risuonava nelle piazze e nelle vie ormai vuote.
Evento inaudito nella bimillenaria storia locale quello di una città che si svuota disperatamente, che veniva documentato dall’operatore cinematografico Vitrotti, dalla Casa Moretti Film e dal noto fotografo triestino Posar. E ciò proprio quando stava prendendo piede consenziente anche in Italia l’ideologia delle stelle e delle bandiere rosse, di una pretestuosa fratellanza, di una sedicente democrazia mentre la realtà è stata ben altra.
Galleria dei disegni Torna all’home page
Fonti
Vezio Vascotto - Il Corsaro Claude de Forbin e il bombardamento di Trieste. Rivista Marittima, aprile 2007
Milan Vego - La difesa costiera austro-ungarica. Marine Gestern-Heute, giugno 1983
Karl Gogg - La Marina da guerra dell’Austria. Quaderno AMA n° 96
K.u.Kiegsmarine - La marina imperiale di Vienna 1814 – 1918. Con altre 12 citazioni bibliografiche.
Contramm. Lepotier (Accademia di Marina 9) – La fine della flotta austriaca. Neptunia 3° trim.1966
Alfred von Koudelka - Rotta su Trieste Gorizia 1990 - Gruppo di lavoro di 6 persone Vienna 1979
Lothar Baumgartner - Finis Austriae. Gli ultimi 14 giorni nel diario di un cadetto. Marine Gestern-Heute
Aldo Cherini – La Marina Mercantile di bandiera A.U. nella guerra 1914-1918 – Piroscafi in disarmo nel Lago di Proclan (Sebenico) – Quaderno AMA, 1994
Erwin Sieche – Cronologia degli avvenimenti riguardanti lo scioglimento e la spartizione dell’I.R. Marina da Guerra – 1918-1923. Marine Gestern-Heute, marzo 1986
Paul J. Kemp – La Gran Bretagna e la spartizione dell’I.R. Flotta 1918-1923. Marine Gestern-Heute, giugno 1985, traduzione di A. Cherini dal tedesco
Silvio Salza – La Marina Italiana nella Grande Guerra – volume III – La Vittoria mutilata in Adriatico. Dal luglio 1918 alla conferenza della pace – gennaio 1919. Ufficio Storico della R. Marina, Vallecchi, 1942
Giustino Poli – La piazzaforte marittima di Pola alla caduta dell’Impero Austro Ungarico e le operazioni italiane – 10 giorni densi di avvenimenti. Manoscritto, 1974
Georg Pregel – La Marina SHS negli anni 1919-1923. Ricordi di un testimone oculare. Marine Gestern-Heute, marzo 1987, traduzione di A. Cherini
Diego de Henriquez – Trieste piazzaforte austriaca con gli occhi sul mare. Il Piccolo, 23/05/1965